nel quale e nel quanto
notar si
posson di diversi volti.
Se raro e denso ciò facesser tanto,
una sola virtù sarebbe in tutti,
più e men distributa
e altrettanto.
Virtù diverse esser convegnon frutti
di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
seguiterieno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
fora di sua
materia sì digiuno
esto pianeto, o, sì come comparte
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
nel suo
volume cangerebbe carte.
Se ’l primo fosse, fora manifesto
ne l’eclissi del sol, per trasparere
lo lume come in
altro raro ingesto.
Questo non è: però è da vedere
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
falsificato
fia lo tuo parere.
S’elli è che questo raro non trapassi,
esser conviene un termine da onde
lo suo
contrario più passar non lassi;
e indi l’altrui raggio si rifonde
così come color torna per vetro
lo qual di retro a sé
piombo nasconde.
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
ivi lo raggio più che in altre parti,
per esser lì
refratto più a retro.
Da questa instanza può deliberarti
esperïenza, se già mai la provi,
ch’esser suol fonte
ai rivi di vostr’ arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
tr’ambo
li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
ti stea un lume che i tre specchi accenda
e torni a
te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
la vista più lontana, lì vedrai
come convien
ch’igualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai
de la neve riman nudo il suggetto
e dal colore e dal
freddo primai,
così rimaso te ne l’intelletto
voglio informar di luce sì vivace,
che ti tremolerà nel suo
aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace
si gira un corpo ne la cui virtute
l’esser di tutto suo
contento giace.
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
quell’ esser parte per diverse essenze,
da lui
distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze
le distinzion che dentro da sé hanno
dispongono a
lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo così vanno,
come tu vedi omai, di grado in grado,
che di sù
prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai sì com’ io vado
per questo loco al vero che disiri,
sì che poi sappi
sol tener lo guado.
Lo moto e la virtù d’i santi giri,
come dal fabbro l’arte del martello,
da’ beati motor
convien che spiri;
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
de la mente profonda che lui volve
prende l’image
e fassene suggello.
E come l’alma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate
a diverse
potenze si risolve,
così l’intelligenza sua bontate
multiplicata per le stelle spiega,
girando sé sovra sua
unitate.
Virtù diversa fa diversa lega
col prezïoso corpo ch’ella avviva,
nel qual, sì come vita
in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
la virtù mista per lo corpo luce
come letizia per pupilla
viva.
Da essa vien ciò che da luce a luce
par differente, non da denso e raro;
essa è formal
principio che produce,
conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».
Paradiso · Canto III
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
di bella verità m’avea scoverto,
provando
e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
me stesso, tanto quanto si convenne
leva’ il capo a
proferer più erto;
ma visïone apparve che ritenne
a sé me tanto stretto, per vedersi,
che di mia
confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
o ver per acque nitide e tranquille,
non sì profonde
che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
debili sì, che perla in bianca fronte
non vien men forte
a le nostre pupille;
tali vid’ io più facce a parlar pronte;
per ch’io dentro a l’error contrario corsi
a quel
ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
quelle stimando specchiati sembianti,
per veder di
cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
dritti nel lume de la dolce guida,
che, sorridendo, ardea
ne li occhi santi.
«Non ti maravigliar perch’ io sorrida»,
mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
poi
sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
ma te rivolve, come suole, a vòto:
vere sustanze son ciò che tu vedi,
qui rilegate per
manco di voto.
Però parla con esse e odi e credi;
ché la verace luce che le appaga
da sé non lascia lor
torcer li piedi».
E io a l’ombra che parea più vaga
di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
quasi com’ uom
cui troppa voglia smaga:
«O ben creato spirito, che a’ rai
di vita etterna la dolcezza senti
che, non gustata, non
s’intende mai,
grazïoso mi fia se mi contenti
del nome tuo e de la vostra sorte».
Ond’ ella, pronta e
con occhi ridenti:
«La nostra carità non serra porte
a giusta voglia, se non come quella
che vuol simile a
sé tutta sua corte.
I’ fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà
l’esser più bella,
ma
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