Della storia dItalia, v. 1-2 | Page 4

Cesare Balbo
resto, le due edizioni sono l��, facili ad aversi alle mani da chiunque voglia comparare, giudicare o biasimare. Io abbandono il mio libro e me stesso a' miei critici nemici od amici. Non trovai tempo finora, ed ancor meno genio a scrivere delle cose mie; n�� forse ne trover��: e rimango intanto non senza fiducia che la mia indifesa perseveranza sia per aggiungere qualche conferma a quei princ��pi, di che penetrato io ogni di pi��, �� naturale ch'io desideri penetrare i miei compatrioti.
A coloro poi i quali biasimano, quasi contrario alla imparzialit�� della storia, questo modo di scriverne, non solamente narrando ma giudicando, io ho gi�� risposto e nella citata prefazione ed altrove. Ma perch��, se v'�� colpa, io l'ho aggravata nella presente edizione, aggiugner�� qui: che l'imparzialit�� mi sembra consistere non nel non giudicare, ma nel giudicare imparzialmente; che anzi non capisco come possa essere imparzialit�� dove non sia giudizio; che senza questo non pu�� essere se non indifferenza, e che le storie (fortunatamente rare) scritte con indifferenza alla virt�� od al vizio, alla buona od alla cattiva politica della patria, adempiono male quell'ufficio, che pur si pretende imporre alla storia, di maestra della vita pubblica degli uomini e delle nazioni. Del resto, tutto ci�� tocca a una questione pi�� che letteraria e delle pi�� importanti nelle condizioni presenti della patria nostra. A qualunque nazione �� necessario farsi e tener ferma una politica nazionale. �� chiaro per s��; uomo o nazione, niuno vive bene senza uno scopo buono e ben tenuto; e la fortuna �� de' perduranti. Ma abbondano gli esempi a conferma: Roma antica, ed anche moderna; casa d'Austria da parecchi secoli; casa Prussia e casa Russia da poco pi�� di uno; il piccolo e nuovo Belgio da vent'anni; e sopratutto quei due popoli che vantan comune il vecchio sangue sassone, ma si trovano in condizioni e luoghi cos�� diversi; vecchio l'uno sul proprio suolo, monarchico, ed in mezzo agli interessi europei; nuovo l'altro all'incontro, repubblicano ed isolato fra le solitudini americane; e che tutti e due colla fermezza delle loro politiche interne sono cresciuti, l'uno da centocinquanta l'altro da settantacinque anni, a tal grandezza da contendersi e dividersi oramai l'imperio, il primato, l'egemonia dell'orbe intiero. Noi siamo lungi da siffatti destini; non abbiamo da conquistar egemonie, preoccupate da altri, impossibili a tramutarsi, stolte a sognarsi, per ogni avvenire prevedibile. Ma abbiamo conquiste molto pi�� importanti a fare o compiere; la libert�� e l'indipendenza importano incomparabilmente pi�� che l'imperio del mondo. N�� arriveremo mai a siffatti scopi, se non sappiamo prefiggerli a noi stessi con sapienza, e tendervi poi con virilit�� e costanza; cio�� se non sappiam farci e seguir poi una buona politica nazionale. Miriamo agli esempi contrari e fatali del secolo presente: Francia, Spagna, Germania, Polonia; o meglio, miriamo a noi stessi da quattordici secoli in qua fino a ieri.
Nelle monarchie assolute e nelle aristocrazie, le politiche nazionali si fondano e si serbano molto pi�� facilmente; basta un gran principe o un gran cittadino ad inventarle; e si tramandano poi per successione, per educazione, per tradizione. Fu gi�� pi�� difficile nelle democrazie antiche e del medio evo, dove molti gi�� concorrevano ad avviare o sviare la cosa pubblica; ma negli Stati rappresentativi moderni (repubbliche o monarchie con poca differenza, bench�� con qualche vantaggio dell'ultime) i concorrenti alla cosa pubblica non sono pi�� a migliaia, n�� a centinaia di migliaia, come i cittadini raccolti sulle piazze di quelle repubbliche municipali; bens�� a milioni sparsi su territori estesi e diversi; ondech�� �� cresciuta d'altrettanto, dall'uno al mille talora, la difficolt�� di formare e serbare quell'opinione comune e costante che forma e serba qualunque politica nazionale. Che anzi, la difficolt�� sarebbe impossibilit�� senza quell'aiuto, quello stromento somministrato a tempo dalla Provvidenza conduttrice degli eventi umani; non fu possibile il vero e durevole ordinamento de' governi rappresentativi, prima che si fosse inventato e diffuso un mezzo ad ampliare la discussione della cosa pubblica in quella medesima proporzione, prima che si fosse inventata e diffusa la stampa. Io ho accennato in questo volume l'epoca dell'invenzione della rappresentanza, precedente di due secoli alla invenzione, di tre o quattro alla diffusione della stampa. E l'invenzione della rappresentanza non serv��, venne meno, si neglesse, si perd��, finch�� non fu fatta e diffusa quella della stampa.
La stampa aiuta il buono ordinamento degli Stati rappresentativi in tre modi: 1�� diffondendo in tutti gli angoli del paese, portando a cognizione di tutti i concorrenti alla cosa pubblica gli atti e i discorsi e le opinioni degli uomini pubblici che la conducono; 2�� discutendo via via quegli atti, que' discorsi, quelle opinioni, tutta la politica giornaliera; 3�� innalzandosi a discutere, sforzandosi a stabilire una politica permanente della nazione. I due primi uffici sono della stampa giornaliera; dove questa esiste ed �� libera, cessa l'utilit�� e la frequenza di
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