nel riposo: poi cresce, cresce, si rende assiduo, continuo, non se ne va pi��. �� un dispiacere vago, come di una disgrazia che sia alle spalle; una cura segreta, indefinibile anche per chi la prova; un dolore sordo per qualche cosa che deve mancare o morire. Che cosa ��? L'uomo s'interroga, si rivolta, si tormenta, non trova niente, e la pena �� sempre l��, anzi si va accentuando, si disegna...... Ecco, sar�� una debolezza, una fanciullaggine, una sentimentalit�� morbosa, ma si �� addolorati di lasciare la casa.
�� vero, �� vero: il cuore si stringe pensando a quelle stanzuccie dove si �� tanto amato, tanto vissuto e che non si vedranno pi��; pare che dalle vecchie pareti, dagli angoli oscuri partano voci di affetto e di tenerezza; nella notte si ode un susurrio indistinto e carezzevole. In ogni cantuccio vi �� una parte di vita, un brano di cuore: sul muro, quel segno col lapis �� la misura del bambino che ora l'oltrepassa di tutta la testa--ed accanto quel ritratto, quel caro ed amato ritratto di persona morta! In questa camera la buona madre si �� ammalata, e quando la salute �� tornata a brillare nei suoi buoni ed amorevoli occhi, essa ha respirato l'aria presso quel balcone: sul balcone dove alla primavera tutte le pianticelle hanno fiorito, dove l'edera, pi�� tenace dell'uomo, si �� abbarbicata; sul balcone dove nelle sere estive vi furono tante dolci parole mormorate all'orecchio. E quando vi fu quella grande, grande disillusione, la pace del piccolo studio ha calmata l'asprezza della ferita. Dio, quante memorie! Che fiotto di ricordi!
* * *
La pruova che il passato ha esistito bisogna abbandonarla, bisogna dimenticare; e perch�� anche l'ultimo profilo delle rimembranze si cancelli, bisogna lasciare il fedele testimonio della vita trascorsa. Staccarsi da tutto, annullare, fare il vuoto. �� uno spasimo acuto. Si vagola per le camere, sogguardando lungamente, quasi a volersi imprimere nella mente ogni linea; non si va pi�� fuori quasi a prolungare i momenti della permanenza; non si scambiano che brevi frasi; le fanciulle sono malinconiche, i vecchi parenti si fanno pensosi. Il giorno della partenza viene: i visi sono pallidi e scomposti, si va e si viene senza far nulla, quasi per distrarsi; si resta seduti sopra un baule a guardare tristamente i mobili che se ne vanno; la casa �� piena di persone estranee, di facchini ruvidi, di voci irose; la casa �� profanata, manomessa, sembra una chiesa dove sia passata un'orda di cosacchi. I mobili se ne vanno, se ne vanno, e si �� ancora l��, in un angolo polveroso a guardare, a prolungare quello strazio interno: vengono i vicini a salutarvi e si scopre che quella gente era buona ed onesta; che tormento! Passano, passano le ore, pare un triste sogno; �� invece una realt��--il nuovo abitante �� venuto, vuole la casa sua, vi scaccia quasi. Si gitta intorno un'ultima occhiata; lentamente, con le labbra serrate ed un gruppo nella gola, si parte.
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La nuova casa! �� un'estranea; non la conoscete, non vi conosce, non avete vissuto con lei, le sue mura sono mute, hanno parlato ad altri; �� fredda, vuota, sembra un deserto, sembra una rovina, ci si parla a bassa voce come in una piazza. Sorprese dappertutto; anditi, scalette, porticine, e non si sapeva nulla, ed in quei momenti eccezionali sembrano tradimenti, trabocchetti; la notte non si dorme, si sta a disagio; gli oggetti non trovano il loro posto, tutto va di traverso. Qualche sera, per una soave distrazione, si prende l'antica strada, perch�� della nuova casa non si sa che farne; si vuole la vecchia, la vecchia e buona casa che �� senza tradimenti, senza sorprese, che ama, parla, compiange--�� l�� che si vuol andare, per viverci come tanto tempo ci si �� vissuti, in un ambiente cognito ed amico; ci si vuole restare sino alla morte. Non si pu�� pi��.
Occorre scrollare il capo, sospirare, rassegnarsi, fino a che il tempo, l'abitudine facciano calmare lo spirito amareggiato; e poi in capo a due o tre anni esser ripresi dalla medesima follia, partire di nuovo, soffrire ancora, agitarsi sempre, fino a far credere che la favola dell'Ebreo Errante sia il simbolo dell'uomo.
VOTAZIONE FEMMINILE.
Nel novembre venturo, quando si discuter�� la legge sulle elezioni comunali e provinciali, i deputati emancipatori faranno molti passionati discorsi. Essi diranno, per la milionesima volta, che la civilt�� italiana differisce poco da quella ottentotta per quanto riguarda la donna; che l'Europa ci guarda (non sa far altro, povera Europa!); che per formare la felicit�� delle donne italiane, bisogna conceder loro il voto amministrativo. La Camera esita; poi si turba, si commuove al quadro straziante delle donne italiane pronte a suicidarsi, se vien loro negato il voto, ed il voto �� accordato. Ma questo non basta--non basta dare un diritto senza fornire l'occasione di farlo esercitare. Quindi
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