ci saranno i mille guai domestici
che menomano e ristringono la mente: la famiglia sarà felice. Ma viene
o non viene questo benedetto maggio? Si contano i giorni, si sorride ad
ognuno che ne passa, si è soddisfatti, completamente soddisfatti.
* * *
Quando il mese di aprile incomincia, quando l'epoca della partenza si
approssima, in mezzo a tanta soddisfazione, si fa luogo un senso di
amarezza. Sulle prime è leggiero, inavvertito, si presenta nella
solitudine, nel riposo: poi cresce, cresce, si rende assiduo, continuo,
non se ne va più. È un dispiacere vago, come di una disgrazia che sia
alle spalle; una cura segreta, indefinibile anche per chi la prova; un
dolore sordo per qualche cosa che deve mancare o morire. Che cosa è?
L'uomo s'interroga, si rivolta, si tormenta, non trova niente, e la pena è
sempre là, anzi si va accentuando, si disegna...... Ecco, sarà una
debolezza, una fanciullaggine, una sentimentalità morbosa, ma si è
addolorati di lasciare la casa.
È vero, è vero: il cuore si stringe pensando a quelle stanzuccie dove si è
tanto amato, tanto vissuto e che non si vedranno più; pare che dalle
vecchie pareti, dagli angoli oscuri partano voci di affetto e di tenerezza;
nella notte si ode un susurrio indistinto e carezzevole. In ogni cantuccio
vi è una parte di vita, un brano di cuore: sul muro, quel segno col lapis
è la misura del bambino che ora l'oltrepassa di tutta la testa--ed accanto
quel ritratto, quel caro ed amato ritratto di persona morta! In questa
camera la buona madre si è ammalata, e quando la salute è tornata a
brillare nei suoi buoni ed amorevoli occhi, essa ha respirato l'aria
presso quel balcone: sul balcone dove alla primavera tutte le pianticelle
hanno fiorito, dove l'edera, più tenace dell'uomo, si è abbarbicata; sul
balcone dove nelle sere estive vi furono tante dolci parole mormorate
all'orecchio. E quando vi fu quella grande, grande disillusione, la pace
del piccolo studio ha calmata l'asprezza della ferita. Dio, quante
memorie! Che fiotto di ricordi!
* * *
La pruova che il passato ha esistito bisogna abbandonarla, bisogna
dimenticare; e perchè anche l'ultimo profilo delle rimembranze si
cancelli, bisogna lasciare il fedele testimonio della vita trascorsa.
Staccarsi da tutto, annullare, fare il vuoto. È uno spasimo acuto. Si
vagola per le camere, sogguardando lungamente, quasi a volersi
imprimere nella mente ogni linea; non si va più fuori quasi a prolungare
i momenti della permanenza; non si scambiano che brevi frasi; le
fanciulle sono malinconiche, i vecchi parenti si fanno pensosi. Il giorno
della partenza viene: i visi sono pallidi e scomposti, si va e si viene
senza far nulla, quasi per distrarsi; si resta seduti sopra un baule a
guardare tristamente i mobili che se ne vanno; la casa è piena di
persone estranee, di facchini ruvidi, di voci irose; la casa è profanata,
manomessa, sembra una chiesa dove sia passata un'orda di cosacchi. I
mobili se ne vanno, se ne vanno, e si è ancora lì, in un angolo polveroso
a guardare, a prolungare quello strazio interno: vengono i vicini a
salutarvi e si scopre che quella gente era buona ed onesta; che tormento!
Passano, passano le ore, pare un triste sogno; è invece una realtà--il
nuovo abitante è venuto, vuole la casa sua, vi scaccia quasi. Si gitta
intorno un'ultima occhiata; lentamente, con le labbra serrate ed un
gruppo nella gola, si parte.
* * *
La nuova casa! È un'estranea; non la conoscete, non vi conosce, non
avete vissuto con lei, le sue mura sono mute, hanno parlato ad altri; è
fredda, vuota, sembra un deserto, sembra una rovina, ci si parla a bassa
voce come in una piazza. Sorprese dappertutto; anditi, scalette,
porticine, e non si sapeva nulla, ed in quei momenti eccezionali
sembrano tradimenti, trabocchetti; la notte non si dorme, si sta a
disagio; gli oggetti non trovano il loro posto, tutto va di traverso.
Qualche sera, per una soave distrazione, si prende l'antica strada,
perchè della nuova casa non si sa che farne; si vuole la vecchia, la
vecchia e buona casa che è senza tradimenti, senza sorprese, che ama,
parla, compiange--è là che si vuol andare, per viverci come tanto tempo
ci si è vissuti, in un ambiente cognito ed amico; ci si vuole restare sino
alla morte. Non si può più.
Occorre scrollare il capo, sospirare, rassegnarsi, fino a che il tempo,
l'abitudine facciano calmare lo spirito amareggiato; e poi in capo a due
o tre anni esser ripresi dalla medesima follia, partire di nuovo, soffrire
ancora, agitarsi sempre, fino a far credere che la favola dell'Ebreo
Errante sia il simbolo dell'uomo.
VOTAZIONE FEMMINILE.
Nel novembre venturo, quando si discuterà la legge sulle elezioni
comunali e provinciali, i deputati emancipatori faranno molti passionati
discorsi. Essi diranno, per la
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