Da Firenze a Digione | Page 7

Ettore Socci
sul serio, non si avrebbe avuto a deplorare tanti scangei, certa
gente non avrebbe gongolato e nell'armata dei Vosgi avremmo avuto
più soldati e più buoni.
--E dunque, cosa facciamo?--Ripeterono tutti guardandosi.
A tale interrogazione mi cascaron le braccia; anche qui dunque non si
sapeva a qual gancio attaccarsi, anche qui si passava il tempo,
cullandosi tra le illusioni e le ipotesi, come nel nostro modesto cerchio
di amici.
Dopo essere stati un poco in silenzio, entrò quasi di corsa, nella stanza
un tale che già si era accomodato a fare da ordinanza al Colonnello;
proferì sommessamente alcune parole al padrone: questi ci parve
soddisfatto ed infatti poco dopo con tuono brioso ci disse: Signori,
domani arriva il Var, chi è buono di salirci, va in Francia.. Confido
nella vostra accortezza e nel vostro coraggio... Io tento di salire pel
primo... A domani!
Non dormimmo in tutta la notte e appena fu giorno, andammo al porto
e prendemmo una barca. Un forte libeccio aveva cominciato a soffiare;
il mare era agitatissimo ed i cavalloni sbalzavano di qua di là, di sotto
di sopra la nostra barchetta, spruzzandoci più o meno impetuosamente
il volto, e procurandoci quel malessere interno che è il primo principio
del mal di mare..
--Oggi me li guadagno--Ci diceva il barcaiolo.--E vogliono girar molto
tempo!
--Fino a che non arriva il vapore!
--E un casca un cencio... Se arriverà a mezzogiorno... O che anche loro
vogliono andare in Francia?... A me lo possono dire.
--Ebbene.. sì.. vogliamo andare in Francia.
--Me l'avevano a dire!.... Guardino, due barche piene di guardie.
--È vero... e ora cosa si fa?
--Non si sgomentino... Figureranno di pescare... Prendano le lenze!
Noi prendemmo questi ordigni e, tramutati lì per lì in pescatori,

cominciammo, con una serietà unica, un'operazione che dentro di noi ci
faceva scompisciar dalle risa. Io credo che i pesci fossero i primi a
canzonarci; e' si vedevano guizzare a fior d'acqua, proprio vicini
ali'esca fatale, poi, facevan cilecca e ci lasciavano con un palmo di
naso.
Non so quanto durasse questo divertimento; mi rammento però che ci
venne un'appetito diabolico; il nostro Caronte, da uomo saggio, capì per
aria l'antifona e ci condusse a dei vicini barconi, dove per lo più
mangiano i marinari e i facchini del porto. Uno stoccafisso, rifatto colle
cipolle, ci sembrò più gustoso di un manicaretto, apprestato da Tomson;
ci bevemmo due fiaschi di vino, e ci sentimmo raddoppiati in coraggio
e in costanza. Intanto il libeccio seguitava a infuriare; il mare era
divenuto addirittura cattivo; si troncavano gli alberi delle piccole navi
vicine, si vedeva volare dei cappelli, che appartenevano agli imprudenti
che troppo si erano accostati all'infido elemento... la cosa cominciava
ad essere non troppo graziosa; in quell'aspettativa i minuti ci
sembravano ore; non avevamo alcuna notizia dei moltissimi nostri
compagni e non il più piccolo indizio ci faceva sperare che si
avvicinasse il tanto desiderato bastimento.
Ecco una striscia di fumo!... Un oggetto nero, che ingrandisce a vista
d'occhi si approssima.. è il Var, si grida tutti con un urlo di contentezza
che si sprigiona dalle più intime viscere, è il Var, il momento supremo
è venuto, coraggio!
Il battello si accosta ad un brigantino, che ha bandiera Greca; in un fiat
è circondato dalle guardie. Cominciano le difficoltà, noi siamo decisi a
superarle.
--Se non li metto sù, che Santa Lucia benedetta mi faccia perder la vista
degli occhi!--Grida il barcaiolo, diventato entusiasta dopo l'ultimo
fiasco.
Si traversò arditamente la fila dei bastimenti, e, allorché, fummo vicini
alle guardie, ci sdraiammo nel fondo del nostro piccolo schifo, l'uno
sull'altro, proprio alla maniera dei fichi secchi; poi, scongiurato il
pericolo, si girò dietro ad una tartana che combaciava perfettamente col
brigantino: i questurini che non sono mai stati ritenuti per aquile
d'intelligenza, non avevan posto attenzione alla manovra e si poteva
cominciare a credere che la nostra intrapresa cominciasse ad avere
molte probabilità di sicuro successo.

--Ed ora, come si sale?--Domandai io, molto imbarazzato nel non
vedere alcuna fune.
--Si va per la catena dell'ancora--Aggiunse immediatamente e con
tuono esaltato lo Stefani, il compagno più secco e più susurrone tra tutti
coloro che erano venuti con noi da Firenze.
La proposizione fu accettata di subito ed io che non ho mai brillato per
la mia sveltezza e molto meno per le mie movenze ginnastiche, mi
aggrappai alla catena di ferro e a forza di urti e di spinte arrivai ad
andar ruzzoloni e facendo un gran tonfo sul cassero della tartana:
riavuto appena dal colpo mi avvidi che ero molto al disotto del livello
dei miei amici, saliti dietro di me; infatti caduto sopra un monte d'avena,
per quanti sforzi facessi, non giungevo a capo di trarmi d'impaccio, chè
ogni sforzo ad altro non era valevole che a farmi affondare di più. Dopo
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