Carta bollata | Page 8

Salvatore Farina
alta, con gli occhi fissi in Cristina sua,
respirando Cristina sua nell'aria di quel mattino di maggio, il faro della
pittura lombarda si dimenticò perfino di essere un faro, di aver trentasei
anni sonati bene bene, per ridiventare un fanciullone.
Pensava: «Di che mai espedienti si serve il cielo misericordioso (perchè
ora tornava a credere nel cielo e nella sua misericordia) per avvicinare
due cuori che si vogliono amare! Chi potrebbe far credere all'agente
delle imposte che egli, minacciando una tassa che forse non riscoterà
mai, mi abbia riunito a Cristina mia per tutta la vita?
«Per tutta la vita? Sì, per tutta. Ormai Cristina è legata a me; nessun
tribunale, con nissun atto di usciere potrebbe mai impedire a due cuori
di amarsi tanto. Il cugino Ippolito, dopo avermi detto no alla prima, mi
dirà sì alla seconda; e a me, fra quindici giorni, non mancherà il
coraggio di andarlo a trovare in tribunale, e magari al suo letto se avrà
fatto un'altra indigestione.»
Fortunatamente, della seconda causa che lo aveva spinto in casa
dell'ufficiale giudiziario, egli non aveva fiatato, perchè sapere
bisognoso d'una somma relativamente tenue, il faro della pittura
lombarda, non gli aggiunge luce nè decoro; Giusto accomoderebbe
forse il proprio negozio con l'altro parente macellaio, e non riuscendo
nemmanco con lui piglierebbe la risoluzione di trasportare in Svizzera
il Cenacolo incominciato e gli altri bozzetti, accomiatandosi con una
bella lettera dall'agente delle imposte.

--Dunque si va a far visita al macellaio?
Giusto si propose il quesito parecchie volte in quella giornata
memoranda, e lo lasciò sempre in sospeso per causa di Cristina bella,
che lo chiamava a lei in silenzio.
All'ultimo rispose melanconicamente di sì, e si avviò al macello con
l'aria d'una buona bestia segnata e rassegnata.
La casa dello zio Bortolo era fuori di porta; d'un piano solo ma bellina
assai, tutta tinta di sangue sieroso, ma con le persiane di un rosso vivo,
che pareva sangue arterioso; vi abitava la famiglia del macellaio
soltanto e perciò, non vi essendo portinaio, per farsi aprire, bisognava
toccare il bottone del campanello.
Giusto, dando un'occhiata alla finestra sanguigna, si sentì venire un po'
di baldanza accettando questo presentimento bugiardo:
«Mi pare che dove meno me l'aspettava, troverò il fatto mio; qui dentro
stanno di sicuro molte migliaia di lire inoperose; sta a vedere che una
se ne viene alla chetichella nel mio portamonete.»
Mentre egli toccava coraggiosamente il bottone del campanello,
un'altra voce, vera e sacrosanta, mormorava a canto a lui, strascicando
le parole, tanto era dimessa: «vedrai che Bortolo farà come gli altri, non
ti darà un soldo.»
La porta di strada si aprì, e subito una voce gridò dall'alto:
--Chi è?
--Sono io, rispose il gran maestro, infilando le scale.
Al secondo pianerottolo una vecchia lo squadrò da capo a piedi,
ripetendogli:
--Chi è?
--Sono io; il nipote di zio Bortolo; mio zio è in casa? come sta? riceve a

quest'ora?
Il macellaio stava benone e non gli sarebbe sembrato vero di poter
ricevere nel salotto, in fondo a un corridoio, dove la vecchia
accompagnò il visitatore, ancor che fosse nipote del padrone, a
contemplare un uscio chiuso. La chiave era nella toppa, ma non girava
bene, e dopo inutili sforzi della fantesca si provò Giusto con miglior
resultato.
La fantesca spalancò la finestra sanguinosa e alla luce Giusto ammirò il
buon gusto di suo zio.
Quella sala era tutta lucente, e i mobili di noce di stile modernissimo,
anzi senza stile, acquistati in Santa Marta, erano massicci; avendo una
passione per il marmo che gli ricordava le belle memorie del macello,
lo zio Bortolo, oltre averne messo in abbondanza sopra due mensole
che si facevano riscontro guardandosi con l'occhio enorme di due
specchi, aveva aggiunto in una parete un canterano; negli angoli della
stanza due tavolini da notte tondi, pronti a ricevere vasi di qualunque
genere o puttini di terra cotta... erano già forniti di marmo. Di quadri
nemmeno l'ombra, e pareva a Giusto che nelle pareti starebbero benone
almeno due paesaggi; già gli sembrava di averli fatti; uno di natura viva,
riprodurrebbe i buoi condotti al macello; l'altro di natura morta, molta
carne macellata. Il grande artista farebbe la tela in due settimane se
Bortolo gli pagasse le mille miserabili lire.
Dopo molto aspettare, la mole enorme di Bortolo, piegandosi un tantino,
passò la porta spalancata.
Anche egli, come il prete, domandò quale vento gli avesse portato a
casa suo cugino.
Il faro della pittura lombarda si spiegò subito; non era stato un vento,
ma bensì l'agente delle imposte, perchè egli, lui, per lui, per ciò...
intendeva bene il macellaio?
Il macellaio intendeva benone; ma dalla sua mole uscirono subito certi
lamenti tenui, frammezzati di piccioli gridi da far pietà a una belva. Oh!

Dio, aver pensato a lui in una congiuntura simile, mentre chiunque,
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