Carta bollata | Page 6

Salvatore Farina
un altro ufficiale giudiziario, il quale

anzi raccomandò di dire al collega malato che quella tal citazione
verrebbe fatta prima del mezzodì.
E Giusto via, a picchiare alla porta del suo terzo cugino.
Gli fu aperto dalla figliuola di Ippolito, una cuginettina perduta di vista
da molti anni, un amore di bimba non avente proprio l'aria di essere
tanto vicina alla curia e al tribunale; ne pareva anzi lontanissima, tanto
era bianca, bionda, e gentile; e pure anche il giorno prima
quell'amorino ingenuo aveva riempito molta carta bollata indegna di un
suo caratterino nitido e bello, senza domandarsi conto di quanto faceva
per contentare il babbo.
--Chi è? domandò appena ebbe schiuso l'uscio, e subito soggiunse: è lo
zio Giusto.
--Non sono tuo zio, ma tuo cugino, tienlo in mente...
--Il babbo dice che sei zio, ma se tu vuoi essere mio cugino, lo
preferisco quasi; vieni pure, ma il babbo sta male, perchè ieri ha
lavorato troppo...
--L'altro usciere mi ha detto che ieri ha mangiato.... e gli ha fatto male.
--Non è vero; lavora qualche volta troppo e allora non digerisce quel
che mangia. Vado subito a dirgli che sei qui, aspetta un momentino...
Così dicendo, quella donnina accompagnava il suo parente in salotto,
gli accennava di mettersi a sedere, e via di corsa.
Uscirono dal cervello del maestro tutti le amarezze della giornata
incominciata per trattenere soltanto la visione gentile della cuginetta.
Un pittore che sappia il fatto suo, al primo vedere una figurina come la
figliuola dell'usciere Ippolito, si sente subito afferrare dalla tentazione
di arrestarne sulla tela il più possibile, il viso almeno, un po' di collo, le
manine bianche, le braccia tonde; il resto viene poi.
Così Giusto.

«Come si chiama mia cugina? Maria, mi mi pare; ma non ne sono
sicuro, e non mi starebbe bene domandarlo; altrimenti si vedrebbe
subito che io dei parenti cari mi sono infischiato magnificamente fino
al momento di averne bisogno. È fresca come una rosa appena
sbocciata; beato chi la potrà cogliere; è bella; è amabile, disinvolta e
garbata; farà la felicità di un usciere novellino, o chi sa mai, magari di
un usciere vecchio, che abbia ammucchiato molto denaro notificando
molta carta bollata. Ah! quanti grandi artisti sono diventati celebri
perchè avevano un modello in casa!»
Giusto ebbe l'audacia di immaginare l'arte gentile che egli avrebbe fatto
nel primo tempo dopo le nozze, quando la cugina Maria.... diciamo....
fosse al suo fianco, e l'arte grande che gli sarebbe uscita dal pennello
quando Maria, diciamo ancora così, avesse preso proporzioni un tantino
matronali, ma un tantino appena, e il suo viso di faterella allegra fosse
oscurato da quell'ombruzza di melanconia di chi ha visto da lontano il
dolore.
La cuginetta tornò in quel punto ad annunziare che il babbo dormiva
ancora, ma nel dire mostrò apertamente il dolore della bugia; tanto
apertamente, che Giusto fu lì lì per consolarla così:
«Maria.... ho inteso tutto....» ma dalla camera vicina la voce sonora, che
spesso tonava nell'aula annunziando il tribunale, gridò forte: Cristina!
E Cristina, chiesta permissione, sparve una altra volta.
--Si chiama Cristina, e io me ne ero scordato; è proprio bella tanto,
ingenua e schietta; non pare la figlia di un usciere; mio cugino Ippolito
ha fiutato il caso mio; per paura d'essere indebolito dall'indigestione, mi
mandava a spasso con una bugia; ma pensandovi ha visto di non
guadagnare gran cosa, e ora mi fa dire di venire al suo letto, che,
ammalato com'è, saprà difendersi. È come se lo vedessi.
Cristina rientrò in sala in quel punto; aveva la faccetta allegra d'una
donnina che, odiando la menzogna, si rallegra di dire una verità.
--Il babbo dormiva, perchè non aveva inteso che si trattava di te; ora ti

vuol vedere.
--Grazie, balbettò Giusto per dire qualche cosa.
--Grazie di che? chiese Cristina.
E veramente grazie di che? Giusto non sapendo rispondere, si avviò in
uno stato di perplessità inesplicabile. Giunto a piedi del letto
matrimoniale dell'usciere vedovo, non fu tolto al suo stato dagli omei
con cui Ippolito cominciava la propria difesa personale.
--Ahi! questo mio stomaco non mi serve più; ahi! è il piloro
sicuramente, o è il fegato, o è la milza, o è il demonio; il fatto è che se
mangio un boccone con un po' di appetito mi tocca dire mi pento e mi
dolgo una settimana intera.
--Che cosa è stato?
--È stato che si lavora troppo per campare la vita. Ma bravo! Mio
cugino, il grande artista, il faro dell'arte pittorica lombarda, si è
ricordato d'un misero uffiziale giudiziario! Non è, Dio ti guardi, per una
citazione? Se il cliente tuo non ti vuol pagare, dà retta a me, piglialo
con le buone; non ti venga mai la tentazione di pigliarlo con le mani
d'un usciere. L'usciere, anche se è cugino, non può far
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