contentare la finanza... e fare un passo avanti nella
carriera.
--Però...
--Però, che cosa? dica, dica.
Però Giusto poteva ricorrere alla commissione d'appello per
l'accertamento delle imposte.
--E come? e che fa la commissione d'appello? e che ottiene il
contribuente?
L'agente fu generoso d'informazioni; Giusto doveva fare il suo reclamo
in carta bollata da cent. 60; la commissione d'appello fa sempre ciò che
dice l'agente delle tasse; il contribuente per lo più non ottiene altro che
fare una seconda istanza a un'altra commissione...
--La quale?...
--La quale giudica come la prima.
Giusto, fatto bene il conto, non fece istanza di sorta, e almeno
risparmiò la carta bollata.
Ma bisognava pure pagare le ottocento lirette, se gli premeva fare quasi
ogni giorno la cena e tre volte l'anno un cenacolo.
Allora cominciò nel cervello del pittore un lavorio angoscioso, non
fatto mai prima di quel tempaccio birbone: il lavoro di avvicinarsi ai
parenti abbandonati per disprezzo della loro fortuna, tastarli a uno a
uno, amicarseli un poco, fin che un giorno gli avesse indeboliti tanto da
poter sparare a bruciapelo la domanda d'un prestito di ottocento lire. E
perchè no di mille? La fatica è tal quale a chiedere mille o a chieder
ottocento, anzi certamente mille è una cifra più dignitosa, e se un po' di
lire gli rimanessero in tasca non gli farebbero male per assicurare una
buona modella al suo capolavoro.
Il suo capolavoro doveva essere una Cleopatra, ma tutte le modelle
vedute non lo contentavano; una sola aveva le attaccature delle braccia
incensurabili, e per rifare il sorriso amaro della morte e dell'amore non
vi era altri che lei; solamente, essendo, ricercata da molti, bisognava
pagarla tre lire l'ora. E Cleopatra aspettava.
I parenti di Giusto non erano molto prossimi; il più vicino era fratello
uterino di suo padre buon anima; lo zio Bortolo aveva fatto il macellaio
per vent'anni e s'era messo a riposare dalla macellazione per negoziare i
buoi, per il macello, s'intende, che quell'uomo di pasta antica non
poteva separarsi, fin che avesse un alito di vita, dalla sua passione.
Lo zio Bortolo aveva messo da parte un po' di denaro, ma ne avrebbe
avuto assai più se non gli fosse toccata la disgrazia di generare due
figliuoli dello stesso sesso, uno più scioperato dell'altro, i quali altro
non facevano se non spolpare il genitore. In oltre lo zio Bortolo aveva
un vecchio rancore col fratello, ancor che fosse morto e sepolto, e non
vedeva di buon occhio la pittura per una disgrazia toccata all'insegna
della sua bottega.
Quell'insegna era una testa di manzo magnifica, come Bortolo ne aveva
staccato tante dalle bestie macellate; a giudizio delle cuoche del
vicinato era parlante, e il macellaio già si rallegrava della sua pensata,
quando gli era piombata la contravvenzione perchè prima di esporre la
testa parlante del manzo miracoloso non aveva domandato il permesso
al Municipio e pagato la relativa tassa. Bortolo si protestò innocente,
dichiarò di non averlo fatto apposta, ma non vi fu verso e dovette
pagare. Così quell'insegna, che lo aveva rallegrato un giorno, sembrò
poi messa lì solo per riaprire una vecchia piaga per tutto il resto della
vita.
Un altro parente prossimo di Giusto apparteneva alla Curia in qualità di
usciere; doveva odiare anche lui la pittura perchè si era empito la casa
di oleografie e nella sua qualità d'uffiziale giudiziario guardava dall'alto
in basso il cugino pittore; si chiamava Ippolito.
Un altro cugino aveva bottega d'orologiaio e orefice in Ponte Vetero e
si diceva che rivendendo bene gli orologi acquistati male dagli
speculatori di Piazza Castello, che è a due passi, egli si fosse messo da
parte un bel gruzzolo; si chiamava Venanzio.
Un altro cugino era prete. Diceva la prima messa, che è la meglio
pagata per la difficoltà di alzarsi la mattina di bonissima ora; aveva la
sottana sfritellata; i collarini sudici erano una sua specialità.
Costui almeno era venuto qualche volta a trovarlo in studio, e si
dichiarava a tutto pasto appassionato della pittura religiosa, ma se
appena appena Giusto scopriva le nudità d'una tela di genere
pompeiano, o turco, o indiano, prete Barnaba lasciava Cristo a cena con
gli apostoli e Cristo in croce per ammirare da vicino e da lontano un po'
d'arte mondana. Molte volte aveva manifestato al cugino pittore la
tentazione fatale, da cui era preso ogni tanto, di ordinargli una
Madonna dei sette dolori per la cappella ove diceva messa, ma sperava
di resistere, e veramente aveva resistito fino allora.
Ma non resisterebbe più quando Giusto gli avesse fatto intendere la
propria necessità di consegnare all'esattore una somma che non aveva;
di sicuro, per non lasciarsi salassare impunemente, il prete comprerebbe
la Madonna dei sette dolori per lire mille.
Quel giorno medesimo il pittore andò a trovare suo cugino. Per via
aveva una baldanza
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