aveva detto
allora per la prima volta: «Giusto mio, lascia il carboncino, piglia la
tavolozza e il pennello, guarda bene e cerca di far come me; sarà forse
la disperazione di tutta la tua vita, perchè io farò quasi sempre meglio,
ma se tu hai qualche cosa dentro e riesci a metterla in luce, sarai un
grand'artista e la gente, che me non guarda nemmeno, ammirerà l'opera
tua.»
Da quel giorno di maggio, Giusto, cacciato dall'accademia per aver
detto al professore una verità sacrosanta, non aveva avuto altri maestri
fuor che la natura.
E poco dopo lo scolaro aveva avuto il battesimo di maestro dagli allievi
suoi, e perfino dai colleghi ed emuli, che in arte, dove cessano le
miserie delle scuole e delle regole, comincia l'anarchia intellettuale e si
trova un briciolo di giustizia per dire lealmente a un compagno amato:
«tu sei un grande artista» ovverosia «tu sei una bestia.»
Ma perchè, arrivato a questo punto luminoso, l'artista non è felice?
Perchè spesso manca all'uomo glorioso quasi tutto; perchè la gloria è
una cosa, l'appetito è un'altra; perchè a una certa età, quando sono
entrate nel cervello le visioni d'una vita tranquilla, accanto al focolare
caldo, con una compagna buona, la quale all'occasione possa fare la
modella ad un capolavoro impaziente, l'artista, che ha cercato nella
natura l'anima delle cose, si sente infelicissimo non potendo dare tutto
se stesso a un'altra anima cara.
I pittori italiani, a qualunque scuola appartengano, spesso per scarsità di
companatico rimangono scapoli tutta la vita; li vedete, già canuti,
gironzare ancora intorno all'ideale perduto, senza arrischiarsi al
matrimonio; alcuni si pigliano in casa una modella belloccia, affamata
quanto loro, a dir poco, per fingere la felicità della casa e della famiglia,
e se hanno fortuna, da queste finzioni non nascono figliuoli, ma
semplicemente bozzetti e quadri che rimangono invenduti quando i
nababbi italiani non li comprano per un tozzo di pane.
Una volta, attraverso l'Atlantico o le steppe, arrivavano nel bel paese i
Cresi veri, pieni di dollari o di rubli; andavano a visitare gli studi degli
artisti più in voga e si portavano via quadri di genere e statue di marmo
di Carrara; ma da poco in qua l'America non è la terra promessa, la
Russia nemmeno, le statue italiane si fanno per lo più di gesso, il monte
di Carrara non serve quasi ad altro che ai caminetti.
Quest'è lo stato presente dell'arte in Italia; poco è a sperare che si voglia
mutare per un pezzo.
E non di meno la gioventù italiana è sempre innamorata dell'arte, sfida
la miseria, sopporta allegramente l'appetito e non si dà vita; non passa
mai per il capo dei giovani artisti la tentazione di mutar carriera, di
darsi alla banca per esempio, al tribunale, al commercio; mentre
qualche volta accade il contrario, cioè che un agente di cambio
novellino, pentito d'un'operazione a fine mese mal riuscita, voglia
rosicchiare l'osso spolpato dell'arte.
Giusto, diventato maestro a forza di digiuni, a 36 anni non era
scontento del proprio stato, avendo venduto quaranta volte un Cenacolo
di Leonardo da Vinci, ai Russi ed agli Americani del buon tempo, e
ultimamente ai Tedeschi ed agli Inglesi. Sperava di vendere altri cento
Cenacoli prima di chiudere gli occhi all'eterno sonno; solo gli rimaneva
il dubbio angoscioso che l'affresco di Leonardo, ridotto già come
un'ombra, svanisse interamente prima del tempo. E allora, che sarebbe
di lui e della giovane arte italiana?
Uno sgomento più grave lo assalse un giorno, quando l'agente delle
imposte volle gravare sull'arte italiana per mettere le toppe alla finanza
dello stato. Quell'uomo ingegnoso, fatto il calcolo che i Cenacoli di
Giusto pagati a peso d'oro dovessero dargli molto più companatico che
un artista di modesto appetito possa digerire, intimò subito una tassa di
ricchezza mobile per una somma enorme, dugento lire annue, da
pagarsi in sei rate uguali ogni bimestre, facendo risalire l'obbligo del
pagamento a tre anni innanzi per mancata denunzia; insomma uno
scapaccione di ottocento lirette.
Ma, Cristo in croce! Dove si vanno a prendere ottocento lire per
consegnarle all'esattore? Lo sapete voi?
Giusto non ne sapeva un'acca.
Andò subito a visitare la belva, sperando ingenuamente di placarla;
appena gli avesse fatto intendere all'ingrosso in che acque naviga la
pittura moderna nel bel paese, il mostro avrebbe chiesto scusa di aver
cagionato al prossimo un'afflizione inutile, e non avrebbe fiatato in
sempiterno. Così pensava l'ingenuo maestro.
Ma la belva non fu mansueta; dimostrò a Giusto, il quale ascoltava a
bocca aperta, che solo con i Cenacoli mandati all'estero tre volte l'anno
a un di presso, un maestro di quel valore....--Quale?, domandò
umilmente Giusto.--Dugento lire annue di ricchezza mobile, pagabili in
sei rate uguali.
Insomma, non vi fu verso di correggere il criterio di quell'uomo, il
quale avendo istruzioni dall'alto, era nel preciso dovere di salassare il
prossimo per
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