convertì in pugnale di assassino. Quando altro non potè fare, col
proprio seno tutelò la vita di uomini che sapeva essergli stati, e che
avrebbero durato ad essergli nemici. Il popolo un giorno lo ruppe come
un giuoco da fanciullo; i potenti lo gittarono alle moltitudini insanite
come uno schiavo nel circo delle fiere. Consumato nelle viscere, egli
cadde sopra un mucchio di rovine e di speranze; e non pertanto,
morendo, lasciava alle genti il desiderio di costumi migliori, e di tempi
meno infelici. Le sue dita, con ultimo moto, segnarono per testamento
sopra questa terra desolata le parole: virtù, libertà.»
NOTA
[1] «My curse shall be forgiveness». Byron, Child Harold, C. IV.
CAPITOLO I.
FRANCESCO CÈNCI
Per tutti i cerchi dello Inferno oscuri Spirto non vidi in Dio tanto
superbo. DANTE
Non so se più soave, ma certamente simile alla Madonna della Seggiola
di Raffaello avrebbe dipinto un quadro colui, che avesse tolto a imitare
per via di colori il gruppo, che stava aspettando Francesco Cènci nella
sala del suo palazzo. Una sposa di forse venti anni, seduta sopra i
gradini di un finestrone, teneva al petto il suo pargolo; e dietro alla
sposa un giovane di egregie sembianze, col volto basso, contemplava
cotesto spettacolo di amore: egli solleva le mani giunte e alquanto
piegate verso la spalla sinistra, per ringraziare Dio di tanta prosperità
che gli manda. La sembianza e lo atteggiamento dimostrano come in
quel punto lo commuovano tre affetti, che fanno l'uomo divino. Le
mani erano a Dio, lo sguardo al figlio, il sorriso alla sposa.--Però la
donna non vedeva cotesto sorriso, chè lei assorbivano intera i doveri e
la dignità di madre. Il fanciullo sembrava un angiolo, il quale avesse
smarrita la via per tornarsene in cielo.
Ma dall'altra parie della sala stava disteso sopra un pancone un uomo,
che sembrava avesse fornito a Michelangiolo il modello di taluno de'
suoi famosi crepuscoli. Appena mostrava il volto, celato sotto il
cappello di larghe falde e conico di forma. La barba avea lunga,
rabbuffata e grigia; la pelle, simile a quella che Geremia deplora nei
figliuoli di Sion, tinta di cenere come il pavimento del forno[1]. Si
avviluppava dentro un ampio tabarro: le gambe e i piedi, l'uno
soprammesso all'altro, aveva calzati di sandali, giusta il costume degli
uomini del contado di Roma. Forse egli era armato, ma teneva le armi
nascoste; però che la Corte Romana, dopo papa Sisto V, procedesse
molto rigidamente in simile faccenda.
Chiunque, in mezzo della sala, avesse posto mente prima al gruppo
dell'amorosa famiglia e poi a quell'uomo, avrebbe ricordato il detto
della Scrittura: divise le tenebre dalla luce[2].
Due giovani gentiluomini passeggiavano per la sala, taluni con veloci e
talora con tardi passi, ricambiando parole a voce alta, o sommessa. Il
primo aveva la pelle chiazzata di vermiglio come macchie di erpete;
dalle pupille nere, luccicanti traverso i cigli infiammati, traluceva la
ferocia, mescolata ad un certo smarrimento mentale: rari ed irti i capelli:
sozzi i denti: il naso camuso e le guance flosce lo arieggiavano col cane
da presa. Le vesti, comecchè nobilissime, erano scomposte: la parola
usciva impetuosa e roca dai labbri riarsi: accenti impuri, cui forse
natura per rendere più laidi volle accompagnati con fetido fiato: rotti e
continui i moti delle spalle, dei bracci e del capo. Il delitto stava là
dentro come un vulcano prossimo a prorompere.
L'altro poi era pallido, e di aspetto gentile: copiosa e ben composta la
chioma bionda, tardo e mesto a guardare e a parlare: sovente distratto:
qualche volta sospiroso: si fermava, trasaliva, la commozione interna
svelava col tremito del labbro superiore, e coll'agitarsi degli estremi
peli dei baffi. Le vesti, i nastri, le trine del colletto e delle maniche
elegantissime. Chiunque lo avesse veduto avrebbe esclamato a prima
giunta: costui sospira.
In tonacella senza ferraiolo, simile ad una gazza che inquieta ed obliqua
saltella per casa, ecco un prete guizzare qua e là, dandosi la maggior
pena del mondo per trarre a se l'attenzione degli astanti, o almeno di
taluno fra loro. Egli favellava della state e del verno, del caldo e del
freddo, della sementa e della raccolta, ma nessuno gli attendeva: talora
domandava se in quel giorno avrebbe potuto avere la degnazione di
parlare con sua Eccellenza il clarissimo signor Conte; tal altra a quale
ora egli soleva levarsi, e a quale asciolvere; se costumava spendere
molto tempo attorno alle mondizie della persona, e se tutti i giorni
desse udienza;--era fiato gettato: nessuno gli rispondeva, però che gli
sposi rimanessero estatici nella loro letizia; il villano paresse una statua
di bronzo; il gentiluomo dal volto vermiglio lo avesse squadrato così di
traverso, da mettergli i brividi addosso; il gentiluomo dal volto pallido
lo fissasse come uomo piovuto dalle nuvole. Il povero prete stava per
dare del capo nei
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