dopo, la signora
Giulia Beccaria si trasferiva con l'Imbonati a Parigi, dovette essere una
delle principali cagioni, per le quali il Manzoni, in così tenera età, fu
rinchiuso in collegio. Il Manzoni concepì poi per la vita di collegio una
tale avversione, che, al dire del Loménie, egli non volle mandare in
collegio alcuno de' suoi figli, ch'egli educò, invece, presso di sè. "On
dit (aggiunge il Laménie) que, par suite de son excessive tendresse de
père, l'expérience de l'éducation domestique ne lui a pas parfaitement
réussi." Ed è vero, pur troppo, per quello che riguarda i maschi, i quali,
ad eccezione forse del primogenito Pietro, che gli fece almeno buona
compagnia negli ultimi anni della vita, non risparmiarono al
grand'uomo noie e dolori.
[3] Francesco Soave era nato in Lugano nel giugno dell'anno 1743;
avea fatto i suoi primi studii a Milano, quindi a Pavia, finalmente a
Roma nel Collegio Clementino. Soppressa la Compagnia di Gesù, della
quale faceva parte, andò nel 1767 ad insegnare poesia a Parma; fu
allora che pubblicò la sua Grammatica ragionata della lingua italiana.
Non è inutile avvertire che il primo impulso agli studii di lingua, che
poi l'occuparono tanto, può esser venuto al Manzoni dai primi
insegnamenti del Soave. Avendo, dice un biografo del Soave, la Reale
Accademia di Berlino proposto il quesito: "Se gli uomini abbandonati
alle loro facoltà naturali sieno in grado per sè medesimi d'istituire un
linguaggio, e in qual modo potrebbero pervenirvi," il Soave vi mandò
una dissertazione latina che ottenne il primo Accessit. Lo stesso Padre
Soave la tradusse poi in italiano e la pubblicò in Milano nel 1772;
quantunque Gesuita, il Padre Soave vi sosteneva arditamente il
concetto poco ortodosso, che l'uomo può da sè stesso istituire il proprio
linguaggio. Nello stesso anno 1772, il conte Firmian elesse il Padre
Soave a leggere nel Collegio di Brera la filosofia morale, quindi la
logica e la metafisica; nel tempo stesso egli coltivava le scienze fisiche
e adopravasi a divulgare le nuove scoperte scientifiche; alcune delle sue
osservazioni parvero anzi vere invenzioni. Per eccitamento del conte
Carlo Bettoni di Brescia, il Padre Soave scrisse pure le _Novelle morali
per la Gioventù_, e ne ottenne un premio di cento zecchini. Un altro
riscontro curioso si può notare fra la vita del maestro Soave e quella del
discepolo Manzoni. Il primo, inorridito nell'anno 1789 e ne' successivi
per i rivolgimenti di Francia, imprese a scrivere un libro storico, sotto
l'anagramma grecizzato di _Glice Coresiano _(Soave Luganese), col
titolo: _La vera idea della rivoluzione di Francia_; il secondo termina la
sua vita scrivendo per l'appunto un libro sopra la rivoluzione di Francia,
per disapprovarla (sebbene in modo e per motivi assai diversi) come il
suo primo vero maestro. Quando il Soave riparò nel 1796 in Lugano e
vi ammaestrò il nostro piccolo Manzoni, era fuggiasco da Milano, ove
spadroneggiavano vittoriosi i Sanculotti. Si capisce pertanto qual animo
fosse allora il suo contro i repubblicani e come li dovesse rappresentare
a' suoi piccoli alunni del Collegio di Lugano. Da Lugano lo richiamava
poi in Napoli il principe d'Angri per affidargli l'educazione del proprio
figliuolo. Il Manzoni dovette rivedere il Soave nel 1803 a Pavia, ove il
buon Padre insegnava l'analisi delle idee; chi sa che il Manzoni non
abbia pure frequentate le sue nuove lezioni di logica. Accennerò
finalmente come, a promuovere le idee del giovine stoico Manzoni, può
avere pure conferito alcun poco l'esempio del Soave che ci è
rappresentato come uomo "d'ingenui e sinceri costumi, dal parlare lento
e grave, dal viso alquanto austero, dal far contegnoso, non ostante il
quale, la bontà sua lo rendea caro e venerato."
[4] "I locali del sozzo ovile (scrive Carlo Morbio, che fu egli pure
alunno nel Collegio de' Nobili) non avevano subìto cambiamento
importante dall'epoca in cui fuvvi Manzoni; così almeno assicuravano i
vecchi del Collegio, che si ricordavano benissimo del vispo e caro Don
Alessandro o Lisandrino. Verso la seconda corte ed i giardini, il
Collegio spiegava un aspetto grandioso, ma melanconico e severo.
Nell'interno, ampi eranvi i corridoi e le camerate. Era, per dir così, la
fronte d'un vasto caseggiato, che non venne poi condotto a compimento.
Verso il Naviglio poi l'Imperiale Collegio presentava una fronte
ignobile e bassa. Gli alti pioppi di quella seconda corte già avevano
ombreggiato il capo del giovane Poeta, il cui ritratto ad olio, grande al
vero, stava appeso fra quelli dei più distinti allievi (Principi) del
Collegio. È quindi troppo assoluta la sentenza della signora Dupin che i
ritratti di Manzoni giovane sarebbero apocrifi. Questo all'incontro è
bene autentico e genuino. È anche fama che a vent'anni Manzoni si
facesse ritrarre a Parigi, a guisa d'inspirato, colle chiome sciolte e collo
sguardo volto al cielo. (Con gli occhi rivolti in su lo rappresentava pure
nella virilità il
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