non aveva di comune che il cognome,
comunissimo del resto, com'Egli m'osserva, nei territorio di Lecco e
della Valsássina. Il grande Poeta fu egli di nobile casato? I Manzoni
ebbero, è vero, feudi e onoranze in quei paesi, ma la loro nobiltà non
venne mai ufficialmente riconosciuta. Don Pietro, padre di Alessandro,
ed i suoi fratelli, presentarono bensì nel 1794 un'istanza documentata al
Consiglio Generale della città di Milano, onde essere ammessi agli
onori del Patriziato Milanese; ma prima che il Consiglio si
pronunciasse in proposito, i supplicanti in causa d'urgenti affari di
famiglia chiesero ed ottennero la restituzione de' loro documenti,
obbligandosi però a riprodurli a tempo opportuno. Ma non mi consta
che la famiglia Manzoni riproducesse più tardi la sua istanza. È poi
assolutamente erroneo che la sua nobiltà venisse riconosciuta dal
Tribunale Araldico, con sentenza del 10 luglio dell'anno 1771, perchè i
Manzoni non si trovano accennati in nessuno degli elenchi dei nobili
cittadini, proclamati come tali dal Tribunale Araldico e dal Consiglio
Generale della città di Milano.--Manzoni non ha mai fatto uso di
stemma gentilizio, neppure nelle lettere; il suo sigillo porta
semplicemente le sue iniziali, entro un cerchietto a linee concentriche.
III.
Il Manzoni a scuola.
Io non mi fermerò ora a darvi notizie della culla del Manzoni, che fu
ritrovata e si conserva in una villa del signor Rosinelli a Mozzana sopra
Galbiate; nè della cascina detta La Costa, ove il grand'uomo fu allattato
da Caterina Zanzeri, nè di questa nutrice, la quale vogliono che fosse
svelta, vivace e piacevolona.[1]. Ma non è senza importanza il fatto che
a soli sei anni il fanciullo Manzoni fu allontanato da casa sua e chiuso
nel Collegio de' Frati Somaschi di Merate, ove rimase dall'anno 1791
all'anno 1796.[2] La mamma ve l'accompagnò, ma scomparve intanto
che il fanciullo era tenuto a bada da un frate maestro. Si possono
facilmente immaginare gli strilli del povero fanciullo non appena egli
s'accorse che la mamma sua l'aveva lasciato; ma, poichè ad uno de'
prefetti parve pure che il pianto durasse troppo, il fanciullo ricevette un
colpo sulla guancia accompagnato da queste parole: "E quando la
finirete di piangere?" Quello fu il primo dolore provato dal grand'uomo,
che se ne rammentava anche negli ultimi anni della sua vita. "Buona
gente (del resto egli concludeva, parlando di que' suoi primi istitutori),
quantunque, come educatori, lasciassero troppo a desiderare che
fossero prima un po' più educati loro stessi." I frati di Merate lo
avvezzarono dunque ai primi castighi. Ad undici anni, Alessandro
Manzoni passò nel Collegio di Lugano, ove gli toccò la buona fortuna
di avere tra i suoi maestri il buon padre Francesco Soave,[3] onesto
letterato e, per quei tempi, educatore assai liberale, sebbene
s'indispettisse contro il nostro piccolo scolaro, che s'ostinava a scrivere
le parole _Re, Imperatore e Papa_ con la prima lettera minuscola. Il
Manzoni parlando un giorno del Soave a Cesare Cantù gli disse, tra
l'altre cose: "Teneva nella manica della tonaca una sottile bacchetta,
presso a poco come quella che fa i miracoli dei giocolieri; e quando
alcuno di noi gli facesse scappare la pazienza, egli la impugnava, e la
vibrava terque quaterque verso la testa o le spalle del monello, senza
toccarlo; poi la riponeva e tornava in calma." Al Manzoni rincresceva
d'avere talvolta inquietato quel Padre, che tanto fece, sebbene non
sempre il meglio, per l'istruzione della gioventù. Narrava pure il
Manzoni come una volta gli scappasse detto in iscuola "ne faremo
anche a meno," quando il Padre Soave annunziò che fra poco ci sarebbe
stata la lezione d'aritmetica. Il Padre maestro si levò allora dalla
cattedra, e si mosse gravemente verso il piccolo ribelle, che si sentiva
già agghiacciare per lo sgomento il sangue nelle vene; gli si accostò, gli
pose sulla guancia legermente due dita, come per carezzarlo, ma
dicendogli con voce grossa: "E di queste ne farete a meno?" come se lo
avesse percosso ferocemente. Il Manzoni, come assicura lo Stoppani e
come si può ben credere, rimase "profondamente colpito da tanta
mitezza, e ne parlava ancora con vera compiacenza quasi 70 anni più
tardi." Ma la via crucis de' collegi non era ancora finita pel nostro
piccolo proscritto. Verso il suo tredicesimo anno, lasciati i Somaschi di
Lugano, egli veniva raccomandato ai Barnabiti del Collegio di
Castellazzo, poscia a quelli del Collegio de' Nobili di Milano; e qui
sebbene egli n'abbia poi detto un gran male nei noti versi In morte di
Carlo Imbonati, nacque e si rivelò fra il tredicesimo e il quindicesimo
anno il suo genio poetico, o per lo meno, la sua felice attitudine al
poetare.[4]
[1] Cfr. I primi anni di Alessandro Manzoni, spigolature di Antonio
Stoppani.
[2] La poca armonia che dovea regnare in casa di Don Pietro Manzoni
fra moglie e marito, onde sappiamo che, alcuni anni
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