Alessandro Manzoni | Page 9

Alessandro De Gubernatis
pittore Molteni in un quadro ad olio, che si conserva
presso la marchesa Alessandrina Ricci D'Azeglio.) Fu scritto da quasi
tutti i biografi di Manzoni, che egli da giovinetto fosse di tardo ingegno,
e punto non istudiasse. Non ignoro che il grande Poeta, forse burlando,
lasciò creder ciò; ma io combatto Manzoni colle stesse sue anni, coi
bellissimi suoi Versi giovanili alla mano; ma io cito l'onoranza del
ritratto, certamente non sospetta, che egli ottenne nello stesso Collegio
Longone, ove fu alunno dal 1796 all'anno 1800."

IV.
Primi versi.
Invero, ch'egli amasse molto i versi e ne scrivesse fin dal tempo, nel
quale sedeva ancora sui banchi della scuola, ce lo dice egli medesimo
in un sermone giovanile diretto al suo compagno Giambattista Pagani
di Brescia,[1] onde rileviamo ch'egli prediligeva già, fra tutti i metri, il
verso sciolto, e che non gli toccarono mai, per cagione di poeti, quali
Orazio, Virgilio e il Petrarca, quelle battiture che non gli saranno
certamente mancate per altre ragioni. Ma, ingegno precocemente
riflessivo, egli dovette accorgersi assai presto della vanità degli
esercizii rettorici, ne' quali i frati maestri del Collegio de' Nobili in
Milano costringevano allora, e così non li costringessero più ora, frati e
non frati, nelle scuole d'Italia, i giovinetti ingegni. Nel suo sermone al
Pagani egli si burla delle gonfie orazioni che, giovinetto, gli toccava
comporre nella scuola, travestito, com'ei dice satiricamente, da moglie
di Coriolano, e dell'arte rettorica, per la quale si chiude "in parole molte,
poco senso," precisamente l'opposto di quello ch'egli fece dipoi,
dicendo sempre molto in poco:
Pensier null'altro io m'ebbi infin dal tempo Che a me tremante il
precettor severo Segnava l'arte, onde in parole molte Poco senso si
chiuda; ed io, vestita La gonna di Volunnia, al figlio irato Persüadea,
coi gonfii sillogismi, Ch'umil tornasse disarmato in Roma, Allor sol
degno del materno amplesso. Me dalla palla spesso e dalle noci
Chiamava Euterpe al pollice percosso Undici volte, nè giammai di
verga Mi rosseggiò la man, perchè di Flacco Recitar non sapessi i vaghi
scherzi, O le gare di Mopso o quel dolente "Voi che ascoltate in rime

sparse il suono."
Ma vi ha di più: io sono lieto di potervi oggi recare una nuova prova
meravigliosa della precoce potenza, con la quale Alessandro Manzoni
sentì sè stesso. Uno de' più geniali amici della sua vecchiaia, il
professor Giovanni Rizzi, poeta gentile e sapiente educatore,
conservava inedito presso di sè un mirabile Sonetto, composto dal
Manzoni nell'anno 1801, il che vuol dire sul fine del suo quindicesimo
o sul principio del sedicesimo anno della sua vita. Egli mi permise, per
tratto di grande amorevolezza, in questa occasione a me tanto solenne,
di levarlo dall'oblio immeritato, in cui rimaneva da settantasette anni. È,
come vedrete, un ritratto fisico e morale che lo stupendo giovinetto
faceva di sè stesso; vi è qualche cosa d'ingenuo nell'espressione, ma nel
tempo stesso vi si ammira, insieme con una grande e preziosa sincerità,
il felice presentimento di una vita lunga e gloriosa.
Capel bruno, alta fronte, occhio loquace, Naso non grande e non
soverchio umìle, Tonda la gota e di color vivace, Stretto labbro e
vermiglio, e bocca esìle. Lingua or spedita or tarda, e non mai vile, Che
il ver favella apertamente o tace; Giovin d'anni e di senno, non audace,
Duro di modi, ma di cor gentile. La gloria amo e le selve e il biondo
Iddio.[2] Spregio, non odio mai; m'attristo spesso, Buono al buon,
buono al tristo, a me sol rio. All'ira presto, e più presto al perdono,
Poco noto ad altrui, poco a me stesso, Gli uomini e gli anni mi diran chi
sono.
Quest'ultimo verso profetico mi scioglie dall'obbligo di qualsiasi
commento. Vi è qui tutto l'afflato del genio potente, che doveva
rivelare al suo secolo ed alla sua terra una nuova poesia.
[1] Anche nell'Urania, il Manzoni dice ch'egli ambì la fama di poeta
italiano fin _dai passi primi nel terrestre viaggio_:
Da' passi primi Nel terrestre viaggio, ove il desio Crudel compagno è
della via, profondo Mi sollecita amor che Italia un giorno _Me de' suoi
vati al drappel sacro aggiunga._
[2] Variante: "Di riposo e di gloria insiem desìo."

V.
Il Manzoni ed il Parini.
Nella sua prima maniera satirica il Manzoni parineggia; il Parini, egli
non avea conosciuto di persona, se bene lo potesse per le relazioni che

il poeta di Bosisio avea avute con la famiglia Beccarla. Quando il
Parini morì, il Manzoni, quattordicenne, incominciava già a sentire la
poesia e ad ammirare veramente i poeti; si narra anzi ch'egli leggesse
per l'appunto la celebre Ode La caduta, quando gli venne annunciato
che il Parini era morto.[1] Il Manzoni vecchio dolevasi con Giovanni
Rizzi di non averlo cercato, e scusavasi malamente col dire che allora
egli era "un ragazzaccio che
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