Alessandro Manzoni | Page 6

Alessandro De Gubernatis

dice, con molto garbo, il conte Carlo Belgioioso, che una squisita
modestia convivesse coi Manzoni con una ben misurata stima di sè.
Egli riconobbe di certo i privilegi della propria intelligenza, e ne
ringraziò Dio; ma li scordò davanti agli uomini. Della nobiltà del
Manzoni altri si occuparono, non lui; quando il signor Samuele
Cattaneo di Primaluna[3] pensò fargli cosa grata, inviandogli l'antico
stemma de' Manzoni ch'egli avea ritrovato nella casa di Barzio, il Poeta
ringraziò tosto del pensiero amorevole, ma non aggiunse altro. Gli
pareva sul serio di offender qualcheduno, quando avesse lasciato capire
ch'egli sapesse o sentisse, e, peggio ancora, si compiacesse
d'appartenere ad una casta privilegiata. Ma tanto fa, egli era un signore;
e, quando s'accostava al popolo per fargli del bene, mosso da un
sentimento di umanità, di giustizia, di carità cristiana e da una
gentilezza squisita, quando, nella vendita del Caleotto e delle sue terre
ereditate dal padre in quel di Lecco, egli tirava un frego sopra i debiti
de' suoi contadini e affittaioli e li perdonava tutti, si mostrava generoso
ed umile al modo di quell'ottimo suo marchese erede di Don Rodrigo
de' _Promessi Sposi_: quel marchese, se vi ricordate, volendo far del
bene a Renzo ed a Lucia e riparare verso di essi i gravi torti del suo
predecessore, compra la vigna di Renzo pagandola il doppio del prezzo
richiesto; poi invita i due fidanzati al suo palazzotto, fa loro imbandire
un buon desinare ed ordina che venga servito bene, anzi lo serve, in
parte, da sè, ma non si mette addirittura a tavola coi villani. A questo
punto il Manzoni entra direttamente in iscena, ed osserva: "A nessuno
verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare
addirittura una tavola sola. Ve l'ho dato per un brav'uomo, ma non per
un originale, come si direbbe ora; vi ha detto ch'era umile, non già che
fosse un portento di umiltà. N'aveva quanta ne bisognava per mettersi
al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari." Questo
brano mi pare abbastanza eloquente per sè, nè mi obbliga ad
aggiugnere altro intorno al modo con cui il Manzoni sentiva la propria

signoria,[4]
[1] Quanto alla fisionomia del Manzoni, non si potrebbe tuttavia dire
che essa avesse un carattere diverso da quello de' popolani di Lecco,
ove, come me ne assicura il prof. Stoppani, s'incontrano spesso
contadini, alla vista de' quali vien voglia di gridare:--Ecco il
Manzoni.--Cade quindi l'indiscreta ciarla nata in Milano, per cui si
suppose possibile che il Manzoni fosse figlio dell'Imbonati, ciarla, alla
quale alludeva forse il verso del noto Carme giovanile, _In morte
dell'Imbonati: Contro il mio nome armaro L'operosa calunnia_.
[2] Don Pietro Manzoni abitava allora nella Via San Damiano, nella
casa che porta ora il numero venti, e il battesimo venne celebrato nella
chiesa di Santo Babila dal prete Alessio Nava; al fanciullo furono
imposti i nomi di Alessandro, Francesco, Tommaso, Antonio. Il primo
nome era quello del padre di Don Pietro, ossia del nonno del Manzoni,
allora già morto; il secondo il nome del padrino Don Francesco
Arrigoni. Il nome di Tommaso gli fu imposto, senza dubbio, perchè la
Chiesa il dì 7 marzo festeggia San Tommaso. Antonio era il nome di un
cugino canonico in San Nazaro; ma potrebbe pure esser venuto al
Manzoni da una madrina Antonietta, intorno alla quale tuttavia, per ora,
non sappiamo proprio nulla. Poichè si è qui ricordata la prima
abitazione del Manzoni (l'ultima in Via del Morone, ove egli morì, è
ben nota), ricorderò ancora col Morbio le altre case abitate dal Manzoni
in Milano: "Altra casa, già abitata precedentemente da Manzoni, col
padre, oltre l'accennata a San Damiano, fu quella segnata col N, 134, in
Via Santa Prassede, ora Via Fontana, N. 44. Manzoni fu molto instabile
nelle sue dimore. Nel 1808 abitava in Via Cavenaghi al N. 2528, ora N.
5. Sul declinare dell'anno 1810 scelse un'altra dimora; e colla madre, la
sposa e la figlia Giulia, recossi ad abitare in Via San Vito al Carrobbio,
al vecchio N. 3883, ora N. 27. Ponete un'iscrizione su quella casa. Ivi
cominciò ad ideare gli _Inni Sacri_; ma essi furono ultimati e
perfezionati nella sua Villa di Brusuglio, e precisamente in una
capannuccia del giardino."
[3] Cfr. il volume delle Lettere pubblicato da Giovanni Sforza.
[4] Intorno alla nobiltà della famiglia Manzoni, ecco quanto scrisse
l'erudito Carlo Morbio nella Rivista Europea dell'anno 1874 "Fu
creduto da quasi tutti i biografi di Manzoni che Egli fosse stretto in
parentela colla Francesca, celebre poetessa e letterata, della quale

lungamente scrisse l'Argelati, che morì nel 1743 alla Cerreda sua
villetta presso Lecco, nella ancor fresca età di 33 anni. Ma io già provai
con lettera, direttami dallo stesso grande Poeta, nel 25 gennaio 1844,
che Egli colla Francesca
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