Vecchie cadenze e nuove | Page 9

Emilio de Marchi
siepi e i pruni:
E vi trasformi il sole

In rose ed in viole.
LASCIAMOLE VOLAR....
_Alle allieve del Collegio Bianchi-Morand
l'ultimo giorno di scuola._
Apriamo le finestre oggi a costoro,
Apriam la gabbia d'oro,

Lasciamole volar queste figliuole
All'aria, al verde, al sole.
Già troppo le vedemmo gli occhi inchini
Sui vecchi libri e sui gualciti
lini
A tessere la vita
Rinchiusa e scolorita.
Mal tornan le viole
Entro il recinto oscuro,
Lenta si svolge
abbarbicata al muro
L'edera senza sole.
Oggi le chiaman dall'erbose rive
Dai margini fioriti a larghi gridi

Dai numerosi lidi
Del mar, dalle cascate fuggitive
Le liberali voci di natura
A respirar la pura
Energia della vita tutta
quanta
Che gioca, ride, canta.
Lasciamole volar. Le selve, i piani
Han bisogno di voci allegre e
oneste
Ahimè! già troppo meste
Son le giornate dei lavori umani....
Queste alle selve, ai monti
Vadano, il crin fiorito
Degli altri uccelli
al gorgheggiante invito
A farsi belle a specchio delle fonti
Nel sangue che scintilla
Più vivo balza il cor che lo riceve
Divina è
la pupilla
Che più lembi di ciel dischiude e beve:

Quanto rapì nella stagione oscura
Il pigro e curvo inverno,
Col suo
tesoro eterno
A cento a cento renderà natura.
Il sol che pinge i fiori
Il mar che mai non posa
Ritornerà sui
languidi pallori
Il bel color di rosa.
A lor che un giorno soffriran la guerra
Dei torbidi elementi
Giovi
produrre le radici in terra
Profonde e dar tutta la chioma ai venti.
A lor che un giorno forniranno i nidi
Nei verdi amplessi ai teneri
usignuoli
Tornin benigni i soli
Tornin le brezze degli aperti lidi.
Lieto trionfo nostro
Sarà quel dì che sulle belle gote
Vedrem
stampato in rubiconde note
Quel che scriviamo in troppo nero
inchiostro.
Volate dunque ad imparar la grande
Storia che parla e vive
Nelle
libere cose. Iddìo la spande
Nell'universo e in mezzo al cor la scrive.
Nell'ampia scuola ove il saper si stende
Del ciel, nel libro aperto di
natura
Ragiona una scrittura
Che molte cose insegna a chi la
intende;
Per gli stellati numeri si svolve
Una dottrina arcana
Che tutta passa
della scienza umana
La radunata polve.
Questa dolce sapienza or dunque cada
A voi nel grembo e vi
rinfreschi i cuori
Siccome la rugiada
Che rende sul mattin l'anima ai
fiori
Volate dunque e sia festoso sciame
Di rondinelle ai grandi voli
esperte;
Se del saper vi pungerà la fame
Qui troverete le finestre
aperte.
I CONSIGLI DEL VECCHIO MARINAJO

Che la tua nave o figlio abbia buon legno,
Che ben si regga sui
fasciati fianchi,
E scarsa all'uopo ove una cosa manchi:
Dico la forza natural del core,
Che guarda le tempeste, e soffre, oblia

La noia e il male dell'incerta via.
Vero padron dell'acqua e degli scogli
Solo è colui che nel voler
ripone
Dell'arrivar la scienza e la ragione.
Questo più che il timon, più che le vele,
Più che la scienza delle
astruse stelle
Ti caverà dal sen delle procelle.
Nè per rumor di ciel, nè per incanto
Che dalle rive a te mandi l'invito

Tu dalla rotta non piegar d'un dito,
Ma sempre va dentro la notte oscura
Col lume a prora della vecchia
fede,
Ch'oltre la notte e le tempeste vede.
Stolto è infierir coll'onda o contro i sassi
O colle rauche spume.
Avanti! aspetta
A far dal lido una miglior vendetta!
L'agili brezze, i molli increspamenti
E gli abbracci del mar, sono pei
forti:
Restano i cataletti agli altri morti.
È il mare, il mare il campo di battaglia;
Morti ci culla e ci porta alla
sponda
L'irrequieto palpito dell'onda.
Il pigro no, meschin, nè il sonnecchiante
Non l'incostante o il pazzo
arrischi il mare,
Ai vili resta il bere o l'affogare.
Sempre arriva chi vuole, e sempre vuole
Chi sull'antenna innalza una
speranza
E nel pensier di chi l'aspetta avanza.
IL MAESTRO CONTENTO
Purchè d'inverno il fuoco non mi manchi
E un botticel nell'angol del

camino,
Mi creda, professor, rinuncio ai banchi
Dove lei spiega il
greco ed il latino.
Che vuole? l'aria è pura alla campagna
E sdrucciola dai monti
imbalsamata:
Il sole, grazia a Dio, non si sparagna
Nell'abbaino un
tanto la fiammata:
Ma schiara i muri ed entra da padrone
Ad asciugar i travicci tarlati,

Scaldando l'ali d'oro a una legione
Di farfalle, che brillano sui prati.
Esco al mattin, ove qua e là si perde
Un sentierol che mena alla
ventura
Fra due file di salici e nel verde
Delle foglie che fremon la
frescura.
Vado lungo il sentier, la mente e il cuore
Che svolazzano via secondo
l'estro,
Finchè dal campanil, sonando, l'ore
A scuola non invitino il
maestro.
Ritorno e avvien talvolta che da un denso
Cespuglio io tragga i
renitenti fuori.
Ma del cespuglio, quando ben ci penso,
Siam noi le
spine ed essi sono i fiori.
Son cento insieme, ma trecento, mille
Se parlano e fra tanto
ondeggiamento
Di teste bionde spiccan le pupille,
Come lucciole in
campo di frumento.
E quando al cicalìo segue la pia
Cantilena al gran Padre dei bambini,

È inutil, professor, ch'ella mi stia
A citarmi i suoi Greci e i suoi
Latini;
Allora provo--e piango--un senso nuovo
Come se navigassi in un
gran mare....
Un non so che, mi scusi, che non trovo
Nei libri che
m'han fatto studiare.
Fra quei piccini dalle mani ladre,
Dai musi tinti e che non taccion mai,

Vi son di
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 29
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.