Vecchie cadenze e nuove | Page 8

Emilio de Marchi
tua veste
bianca;
Vedi l'umanità, che a te la stanca
Mano distende e stanca

alza la voce.
Il morto capo sgombra dall'incenso
In cui ti celi all'occhio dei
meschini;
Dalle valli, dai monti e dai confini
Ultimi ascolta un
singhiozzar immenso.
Scendi dal legno e le stecchite braccia
Sciogli, a stringere il mondo
un'altra volta,
La tua greggia, o pastor, che va disciolta,

Teneramente al cor stringi ed allaccia.
Non vedi il nembo presso all'orizzonte
Già grave d'odio annuvolar la
terra?
Dall'odio seminato urla la guerra
E volge sangue della vita il
fonte.
Indarno il lento cantico di pace
Mandano i sacerdoti alla tua croce,

Chè rauca è fatta al chèrico la voce
E ignoto il libro tuo nel tempio
giace.
Regna avarizia dei potenti in cuore
Famelica, e di lacrime si pasce:

Onde mal nasce e invidia già chi nasce
Il sonno a quel che affaticato
muore.
Scendi; ritorna nella veste bianca
O del pietoso Amor biondo profeta!

Anche una volta l'aspre voglie accheta,
Sfamaci, o Padre, poi che il
pan ci manca.
Sull'orme tue risorgeran gli ulivi
E stilleran dalle tue man gli unguenti

Dietro al profeta torneran le genti,
Recando in braccio i pargoli
giulivi,
Vieni nel tuo splendor mite, siccome
Il dì che andasti placido sul
mare;
Il popol vieni, Amico, a consolare,
Che mal si segna nel tuo
santo nome.
PARTE II

LE VAGANTI IMMAGINI
CANTILENE DI NATALE
I.
Vorrei, se fossi il Re delle magìe,
Stender stanotte un bianco ampio
mantello
Di neve sopra i tetti e per le vie
E in ogni casa alzare un
focherello.
Al suon di pastorali melodie
Andrei pel mondo in groppa a un
asinello
A scongiurar gli affanni e l'altre arpie,
Che stridono
l'ingiuria al poverello.
Tornar farei gli arcangeli dei morti
A rendere alle madri lagrimanti

Con un sorriso i pargoli risorti;
E a quanti sono derelitti amanti,
A quanti sono generosi e forti
Farei
nel core gli amorosi incanti.
II.
Allora, o verga magica, vorrei
Stender lunga una tavola imbandita

A fiori, a lumi, a lucidi trofei,
Colma d'ogni allegrezza più squisita.
E Siri e Turchi ed Arabi e Giudei,
Misti al popol di Cristo che ne
invita,
E ciechi e vecchi logori vedrei
Inebriarsi a una seconda vita.
O festa lunga fino all'orizzonte!
Verrian dal mar le navi pellegrine,

Verrian dai campi i miseri e dal monte,
Verrian gli afflitti e l'anime meschine,
Ch'han la vergogna ed il delitto
in fronte,
A chieder grazia, disciogliendo il crine.
III.
Al nuovo cenno si aprirebbe il coro
Del paradiso e giù dagli sgabelli


Vedrei scendere i santi in veste d'oro
Luminose le barbe ed i
capelli.
In litania d'amor, nel concistoro
S'udrian cantar cogli esuli fratelli:

IN TERRA PAX, IN TERRA PAX... e a loro
Dal cimiter rispondere
gli avelli.
E rose e perle e di mille colori
Le gioie spargerei sul mio cammino,

Adornando di lauro ogni stamberga.
Quando il gallo cantasse a mattutino,
Vedreste, o bimbi, un gran
giardino a fiori,
E tramutato il mondo in Norimberga.
IV.
Stanotte a mezzanotte, quando spunta
La dicembrina luna,
Andiam,
devoti amici, sulla punta
De' piedi a meditar presso una cuna.
Nel tenero sorriso
De' bimbi che riposano
È in terra un luccicar di
paradiso.
A mezzanotte fra tintinni e canti
Per una liscia scalinata d'oro,

Scende nei sogni loro
Iddio con tutti i santi.
0. * *
Se Dio tu cerchi invan nella morente
Speranza dei mortali,
E
stanche in ciel va dibattendo l'ali
La superba ragion che il dubbio
espia,
Oh credi almeno a questa poesia!
Fin che sorride un piccol
innocente
Nei sogni della culla,
È Dio che dolcemente
Colla
ragion dei padri si trastulla.
LA CHIESETTA
Sul sasso ignuda sta, carca le spalle
D'anni e di doglie la chiesetta
antica;
Dal fondo guarda a lei tutta la valle,
Come tu pensi alla
lontana amica.
Apresi a stento un praticel davanti
Tra gli orli

dell'abisso e il vecchio muro,
Che le scosse sentì di non so quanti

Secoli e sta di sua bontà sicuro,
Una sola è la squilla, agli echi tutti

Nota del monte e povero è l'altare;
Un Cristo piange il suo dolor dai
brutti
Occhi tra ceri stanchi d'aspettare.
Aspetta stanco anch'esso un
cataletto
Che un qualche morto a scuoterlo si muova;
Per l'ampia
soglia luminoso e schietto
Entra il sol, entra il vento, entra la piova,

Entra del fieno l'alito e dei fiori,
Entran le rondinelle, entrano i cuori.
CANZONETTE DI PRIMAVERA
I.
La bella primavera, o cittadini,
Di violette adorna,
Ecco tra noi
ritorna.
April l'accoglierà ne' suoi giardini
E sotto i pergolati
Di
fresco inghirlandati,
Uscite ad incontrarla, o quanti siete
Belle fanciulle e quanti

Desiderosi amanti:
E voi, che vecchi stanchi, non potete
Discendere
le scale,
Correte al davanzale.
Ella sen vien di molli aure vestita
Nel rugiadosi umori
Il sen colmo
di fiorì:
E dove passa colle rosee dita
Crolla le siepi e scioglie
Del
mandorlo le foglie.
S'increspa il flutto e brilla
Bianco nel prato il torrentel; sul clivo

S'illumina ogni villa.
Andiamo ad incontrare,
O cittadini, in lungo
stuol giulivo
Le rondini sul mare.
II.
Di raggi d'oro il sole
Rallegra le finestre:
E dalle stalle fuggono le
fole,
Che le comari al novellar maestre
Allungan, quando fiocca,

Sul filo della rocca.
S'apre il mattin. D'argento,
Fanciulla, è l'alba e ride:
Tu la mantiglia
sciorinando al vento,

Scoti la polve e le lusinghe infide,
Che in

mezzo a false rose
Il carneval vi pose.
O mio dolore assorto,
O miei pensieri bruni,
Itene fuor, libratevi
nell'orto
A far bisbiglio tra le
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