Vecchie cadenze e nuove | Page 5

Emilio de Marchi
questa?Piccioletta anima mia?La tua conca all'armonia?Apri tutta dì natura.
Sotto i brividi?Della rigida tempesta?Senti il gelo?Che t'invade e che t'indura,?Umil conca d'acqua pura?Presso il cielo.
IL ROSARIO DELLA NONNA
Pende dal chiodo sul guancial, di grani?fitto il rosario della nonna mia:?pende e sui sonni miei torbidi o vani
l'ombra distende pia:
Fanciullo, il tintinnir mi piacque e il lento?volger di questa coronina antica;?e ancor quando la tocco ancor ne sento
uscir la voce amica
dei cari giorni e dei misteri santi,?che stanno ora confitti al vecchio muro:?che non temon di dotti e di pedanti
il perfido scongiuro.
Serban le perle le ancor calde impronte?delle tue dita, o nonna, ove passasti,?quando inchinata al tuo Signor la fronte
de' tuoi pensier più casti
gli svelavi i tesori intimi, arcani;?onde non morti ancor dopo molt'anni?come piccoli cor battono i grani
pieni dei santi affanni.
Forse già tutte consumò le nude?ossa la terra e accanto al sasso pio?della tua tomba già forse si schiude
un fior che non è mio;
ma quel che fu tuo spirito immortale?palpita e vive in questo scapolare,?che il ciel congiunge colla terra e vale
per me più d'ogni altare.
Presso qui sta di gravi opere denso?un armadio di libri, che raduna?in poco il mare della scienza immenso
che sta sotto la luna;
che la ragione delle cose amara?mi distilla nel cerebro e l'essenza?com'acido purifica e rischiara
della volgar coscienza;
a cui, del capo urtando al vecchio legno,?chiedo la notte e chiedo il dì la sorte?del viver mio, ma invan chiedo.--ed un segno
che plachi un po' la morte:
chè tutt'insieme il venerando stuolo?non fa più breccia, quando il cuore assale,?di quel che faccia lento un vermiciuolo
nel logoro scaffale....
Ma tu, sol che ti tocchi, una dolcezza?versi che definir non san le scuole:?scintilla amor e passa una carezza
su tutto ciò che duole.
Morremo e immota in suo rigor di sasso?starà dei saggi la ragion superba:?tu, povera umiltà, col picciol passo,
ove più dura e acerba
scende la via, sorreggi il piede e il fianco?alla languida vita; e sull'eterna?scala ove trema il pellegrin più stanco
innalzi una lucerna.
LA CAPRA ED IO
Sovra la rupe aerea,?Dove non giunge mai?Foglio di stampa od orma d'esattore,?Soli tra spini e cardi?Tra le nebbie emergenti e i scialbi sassi?Siamo una capra ed io.
Non prati, non ovili,?Ma solamente burroni scoscesi?Fra cui serpeggia e luccica?Al sol d'un'acqua povera la striscia:?Intorno alto il silenzio?Scende nel lento scendere del giorno.
Io lei rimiro ed essa?Sui piè diritta e rigida?Guarda il borghese ignoto che la guarda?E non sappiam che dire.?Qual scienza mai d'una barbara capra?Intese i biascicati sillogismi??Del mio scarso viatico?Porgo alla bestia un morsellin di pane,?Che lieta il muso sporge?E mangia e ancor ne chiede: io la cornuta?Testa carezzo, chè già sento un nuovo?Affetto entrarmi in seno.
O sacra forza d'un boccon di pane!?Già in fondo agli occhi gialli?Io veggo il lento fluttuar di un'anima?Che mi ringrazia; parmi?Che anche un pensier si snodi?Tra la cornuta e l'uomo.
Un picciol suon non più che di zanzara?è degli umani il dire?In riva al mar ch'ogni pensiero asconde.?Meglio parla il silenzio?Degli occhi che una luce a noi riflettono?Degli infiniti flutti.
"--Amici entrambi del deserto, i cari?Verdi cerchiamo e l'ombre?Dei più segreti boschi;?Guardar nel fondo degli abissi e i cieli?Correr col guardo è giubilo?Comune---essa mi dice s'io l'intendo.--
"Se de' belati tuoi, fratel, l'ascoso?Senso non colgo, la pietà del cuore?Sento nel pan che dài.?Una sola bontà forse ne spinge?Per i sassi del mondo?Verso un fonte che scioglie i tristi arcani.
"Rotta questa di carne e d'unghie e d'ossa?Compagine diversa,?Nel ben comune scioglierem le voglie?Or impedite, e cara?In altri mondi men ricchi di mali?Sarà di questo incontro la memoria.
"Però ti prego, o senza-corni, stendi?La mano alla mammella?E un po' del latte mio spremi a ristoro?Della riarsa sete:?Chè più del pane è dolce?Il beneficio che si rende altrui."
Obbediente all'amoroso invito?Porsi la mano e molle?Trassi alle labbra il tiepido tesoro.?Povera capra, addio!?Se Dio tien nota, ci vedremo all'ultimo?Di Giosafat in qualche ombra romita.
Perchè ride, marchesa??Se tra gli umani irsuti arido è spesso?Il favellar e il vivere?Qual colpa n'ha la capra??Qual colpa il servo suo quando all'altero?Riso non ride e l'anima non trova?
LA FANCIULLA BENEFICA
Quando tu scendi al poveretto albergo?in man recando del tuo cor la manna,?ogni misero a te guarda e sorride?come ad angelo suo.
La madre cui la voce acuta strazia?del bambinel, che invan le batte il seno,?ti saluta:--Da qual discesa a noi?scala celeste, o buona?
Cercano i fantolini, alto levando?le mani picciolette, onde dal tergo?ti si spicchino l'ale e donde al crine?tanto splendor ti venga,
inebriati al suon delle soavi?parole. Ed io, quando tu passi, anch'io?cerco, ma invan, dei molli piè la molle?orma nel fango impressa:
chè un alito ti porta tra le case?e per le vie correnti, un caldo affanno?ti accende ai mali altrui, sì che non pesa?a te la tua persona.
--Addio--ti gridan dalla soglia i ciechi?padri che ascoltan trasognati il sole?sulla morta pupilla.--Addio fanciulla,?bella siccome il sole!
In tua beltà tu scendi entro gli spiriti?chiusi nell'ombra, vision lucente,?scendi e vi lasci un pio calor di santo?raggio che d'alto piove.
Dal capezzal di gravi morbi
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 28
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.