Valenzia Candiano | Page 9

Giuseppe Rovani
ingenuità che non sa trovar una colpa nelle impetuose
passioni del cuore, disse ad Alberigo parole di tanta dolcezza e tanta
bontà che egli se ne sentì fin nel più intimo dell'animo suo. In quel
momento nè l'una nè l'altro pensarono più alla legge inesorabile della
Republica. Essa non era già la figlia di San Marco, ned egli uno
straniero. In faccia l'uno dell'altro non erano più che due esseri liberi di
sè e non dipendenti che dalla legge dell'amore. Non pensarono i due
giovani ai mali che avrebbe partorito l'inconsiderata loro passione, sorta
improvvisa nei loro cuori quasi per virtù di magia. Nè poteva pensare il
prode Candiano che in quel momento i destini preparavano la rovina
della sua casa e di lui.
I due giovani però, quantunque abbastanza sapessero ciò che passasse a
vicenda negli animi loro, non ne tennero mai chiare parole in proposito;
ma come Alberigo, avendo stretta amicizia col Candiano, trovò modo a
frequentare, più spesso che non avrebbe potuto, la casa di lui; colla
continua pratica, tanto si vennero riscaldando l'uno dell'altro che più
non potevano oramai senza pena vivere un solo momento distanti. Nè
di nulla se n'era addato il Candiano, nè altri che praticavano con lui,
perchè il pensare che la Republica aveva sancita quella legge, e che
gravissimo delitto ei fosse il contravvenire ad essa in una minima parte,
rintuzzava tosto i sospetti quando mai avessero potuto sorgere nella
mente di taluno. E i giovani d'altra parte si comportavano sì

decorosamente che, se non impossibile, era difficile certo l'intravederne
qualche cosa. Di questo tenore passò buonamente un mese senza che
mai caso intervenisse nè a scemare nè ad accrescere la felice loro
condizione.
Di quel tempo Bernabò Visconti, messo continuamente alle strette dalle
armi temporali del Santo Padre, per tacere delle spirituali, aveva
pensato accostarsi all'amicizia de' Veneziani, ed a ciò spedì a Venezia il
suo secondogenito Carlo insieme a due oratori della sua corte.
L'arrivo a Venezia di un figlio di quel potente e terribile signore, la cui
fama, o infamia che si voglia dire, era sparsa per tutta Italia, fu senza
dubbio un avvenimento che fermò l'attenzione di tutta la città. Del resto
alla Republica, quando udì le proposizioni del Visconti, parve avere
buonissimi patti, onde non fu lenta a venire all'accordo, tanto più che
già da gran tempo ella desiderava confederarsi a quel potente signore.
E in quanto al popolo veneziano, che sapeva troppo bene le atrocità di
quella casa, s'affollava intorno al figlio del Visconti ogni qual volta ei
compariva in publico. E l'aspetto di lui era tale che se non accresceva
l'idea terribile che ognuno s'era fatto di quella famiglia, certo non
l'attenuava. Giovane di ventott'anni e poco più, era assai vantaggioso
della persona, ma nel suo incedere, ne' suoi moti, in ogni suo gesto era
un tal misto di selvaggio, di crudele e di beffardo che metteva in
ciascuno che lo vedesse, un senso di paura e di disgusto indicibile.
Tenente assai del padre, aveva barba folta e rossiccia che gli copriva
tutto il mento, e non gli lasciava scoperti che i labbri; di belle linee nel
resto della faccia, di una tinta assai forte e rubizza. Ma non è parola che
possa ritrarre al vero quella scintilla d'astuzia e di ferocia che gli
brillava tra ciglio e ciglio, quasi che in lui si fossero congiunte le due
nature della volpe e del leopardo. E davvero che quando parlasi di quel
ceppo monstruoso dei tre Visconti, Matteo, Galeazzo e Bernabò, a
renderne meglio che si possa il ritratto, è proprio forza istituire il
confronto co' bruti e colle belve, chè anche, a volerne rintracciare le
somiglianze tra i selvaggi dove la natura umana è più viziata e più
eccezionale, se ne vien sempre a dare una debole imagine.
Bernabò, a stringere l'alleanza con legami più sodi, aveva consigliato al
figlio Carlo chiedesse alla Serenissima Republica in isposa la figlia di
uno di que' patrizi; ma egli dopo essersi guardato attorno ben bene, ned
essendosi incontrato in nessuna che le piacesse, pensava già partire di

Venezia senza farne altro; quando in una delle ultime notti ch'egli se ne
doveva rimanere in Venezia, essendo stato invitato ad una delle più
splendide feste che mai potesse offrire il doge a principe straniero, colà
gli venne veduta la figlia dell'ammiraglio Candiano. La sensazione
ch'egli ne provò quando la vide, non fu già quella che suole
comunemente invadere chi sentesi trascinato ad amare qualcheduno.
Amore, nel senso più bello della parola, non era certamente il suo, ma
era tuttavia alcuna cosa che gli si accostava: un desiderio di
padroneggiarla, di possederla; una rabbia al solo pensare che altri mai
avesse a poterla chiamare sua donna. Quella notte medesima pensò
accostarsi a quella fanciulla, e la balda e feroce sua natura parve si
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