Tre racconti sentimentali | Page 8

Paolo Bettoni
e le spalle. Ecco il terzo giorno che non posso uscire di casa a
guadagnarmi il pane.
--Vi compiango di vero cuore, come un mio confratello di miseria.
Volete acconsentire ad una proposizione?
--Udiamo quale,
--Imprestatemi il vostro organetto, e questa sera andrò io a suonare
dinanzi i caffè e le osterie. Metà per uno del prodotto.
--Ma.... voi mi proponete una cosa.... Ci ho le mie difficoltà di
acconsentirvi. Voi non avete pratica collo strumento, e temo che lo
guastiate.
--Eh, giusto! Quando fosse un violino od una chitarra voi potreste aver
ragione. Ma qui si tratta soltanto di menare un manubrio. Voi mi
credete ben dappoco e mi fate torto.
--La cosa non è facile come vi pare.
--Scusatemi, Simone, io vedo tutto giorno ragazzi e donnette che
trattano questo strumento colla massima disinvoltura e guardandosi
attorno sbadatamente. Questo è segno che si può suonare con grande
facilità.
--Inoltre ci vogliono molti riguardi nel portarlo in volta, nel caricarlo
sulle spalle, e nel deporlo sopra il cavalletto. Se fosse sulle ruote, non
occorrebbero queste attenzioni.
--Via via, state sicuro che farò le cose come si deve. Da bravo, caro
Simone, rendetemi questo servigio, datemi il mezzo di raggranellare
qualche soldo, perchè il bisogno in questi giorni mi angustia
ferocemente.

--Or bene, io mi arrendo al vostro desiderio, perchè noi, povera gente,
dobbiamo ajutarci in tutto quello che possiamo. Venite qua, Antonio, e
badate ad alcune mie istruzioni. Ahi! ahi! che trafitture lungo il filo
della schiena. Ogni volta che mi muovo è uno spasimo. Ecco lo
strumento, che ora è alquanto scordato, ma che tant'e tanto fa l'ufficio
suo. Questo è il così detto registro, che serve a mutare la posizione del
cilindro pel cambiamento delle suonate, le quali sono cinque, cioè due
valtzer, due polke, ed un'aria dei Puritani. Osservate bene come si tocca
il registro. Avete capito?
--Perfettamente.
--Suonate per lo più le due polke, perchè sono le meglio intuonate e le
meglio gradite dagli ascoltatori. Vi raccomando di condurre il
manubrio con eguale andamento, e non a strappate senza misura,
altrimenti il tempo musicale sarebbe difettoso, e le suonate
riuscirebbero come chi cammina a salterelli e sbalzi disordinati. Vi
avverto ancora che il manubrio si applica e si distacca ad ogni stazione,
e che si porta in mano per non perderlo nei tragitti. Finalmente abbiate
la diligenza di assicurare ben bene lo strumento sopra il cavalletto, e di
collocarlo rasente il muro, affinchè, mentre voi siete nella bottega a
raccogliere le offerte, non abbiano i passanti a gettarlo per terra come
ingombro del marciapiede. Prendete il piattello di latta che si porge ai
benevoli contribuenti, e mettetelo in tasca. Abbiate l'aria umile e
rispettosa, e non insistete dinanzi a chi non vi bada, o vi dice di non
aver moneta. Questa frase significa per lo più: non vi voglio dar nulla; e
noi dobbiamo sopportarlo in pace. Ora andate, e la fortuna vi sia
propizia.
Antonio sottopose le spalle alla cassa armonica, infilò le cinghie, a cui
è raccomandata, tolse in mano il cavalletto, e trasformato in Orfeo,
andò a spargere i suoni e l'allegria per le strade di Milano. Intanto che
egli fa i primi esperimenti della nuova arte, vediamo ciò che succede in
un'osteria situata sul corso di Porta Comasina. I bevitori vi sono in gran
numero, vuotano bicchieri a profusione, giuocano alle carte e alla mora,
e fanno un baccano che assorda il luogo, contaminato da un fumo denso
e pestifero di tabacco. Sieno pure i tempi infelici e caro fin che si vuole

il vino, ma gli ubbriaconi trovano sempre il modo di soddisfare il vizio.
In una stanza appartata siedono ad una tavola due personaggi con
davanti un gran fiasco di vino, un piatto di salame, un pollo arrosto, un
pezzo di torta, ed altre squisitezze gastronomiche. L'uno è Tribolo, e
l'altro il ricco bottegajo, che celebrano la buona riuscita della loro
impresa. Tribolo ha l'aria gioiosa e trionfante di chi ha riportato una
vittoria. Egli mangia con tanto appetito e gradimento, che è un piacere
a vederlo. Fra un boccone e l'altro mostra dello spirito, e dice una
barzelletta allusiva alla prossima felicità del suo anfitrione, il quale è
tutto ringalluzzito, e schizza faville dagli occhi infiammati e dalle
guancie porporine. Costui mangia poco a motivo dell'amoroso vulcano
che gli arde di dentro. L'idea che domani stringerà fra le braccia una
fanciulla di sedici anni, bella e pura come una colomba, lo agita tutto
quanto, e gli fa perdere l'appetito.
«E perchè si è fatta tanto pregare quella cara tosa, domandò egli
movendo le grosse labbra come se assaporasse qualche cosa di
delizioso. Sai tu che sono quaranta giorni che sospiro per lei?
«Lo so, rispose Tribolo, dopo aver vuotato un bicchiere colmo fino
all'orlo, e preparandolo ripieno per una nuova
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