Tempesta e bonaccia | Page 9

la Marchesa Colombi
io vi avevo già scritto e riscritto il
mio amore in versi ed in prosa. E tuttavia nè io credevo averglielo
rivelato, nè ella averlo compreso. Perchè prima e dopo della mia parola
che partiva dall'anima, erano altre parole che sa Iddio d'onde venissero.
Tutti scrivevano su quell'albo, ed io lo presi in orrore.
Una sera vidi sulla sua tavola tra i fogli di musica, gli albums, i
mazzolini di fiori, i libri, i lavori all'uncinetto, che l'ingombravano, un
pezzettino di carta su cui, non so chi, aveva scritto parecchie volte
Fulvia Zorra. Per tutto il tempo che rimasi tenni quel pezzetto di carta
tra le mani, lo piegai in quadrato, in triangolo, ne feci una barchetta, un
cappello da carabiniere, un imbuto, e tante altre cose sciocche; e di
volta in volta prima di ripiegarlo guardavo Fulvia, poi leggevo il suo
nome, poi tornavo a guardarla, e mi pareva di esprimere qualche cosa
che ella dovesse comprendere. Quando si fece tardi, e stavamo per
congedarci, io e tutti gli altri che eravamo a far la corte a Fulvia,
ridistesi accuratamente quel cencetto di carta, e sotto il nome della
giovane scrissi in caratteri microscopici Massimo Guiscardi. Poi le misi
dinanzi quel documento e le dissi con un'aria da oracolo: «Guardi.»
--Ebbene, non vedo nulla! mi rispose.

--Qui, legga; e le accennavo quei due nomi vicini vicini, coll'aria che
doveva avere la sfinge nel proporre i suoi problemi.
Ella guardò bene e poi disse:
--Io non vedo che il suo nome.
E le pareva nulla! E non era commossa! Il mio nome sotto il suo; un
idillio, un romanzo, un poema un avvenire, una vita... Ella non
comprendeva la poesia di quel ravvicinamento. La trovai stupida, e
spingendo la carta sulla tavola con disprezzo le dissi:
--Non capisce mai nulla lei!
Allora ella capì il senso ch'io dava a quel gioco di parole. Si fece rossa
come una vampa, e l'occhio le brillò di gioia, e guardò quella carta
coll'angosciosa passione con cui si guarda addietro un'occasione che
fugge... Ma non disse una parola di più. Comprese che l'aggrapparsi
così ad una dichiarazione mancata sarebbe goffo, ed il suo spirito
elegante preferì un rimprovero ed una grande abnegazione, all'essere un
momento solo ridicola a' miei occhi. Io vidi e compresi tutto ciò, e
l'amai doppiamente per quella finezza di tatto.

XI.
Sovente uscendo dal teatro dopo lo spettacolo giungevo in tempo ad
offrire il braccio a Fulvia prima de' miei amici.--Ed allora la tenevo
stretta stretta come cosa mia, e camminavo a fronte alta come un
conquistatore, e meravigliavo che i passeggeri non mi facessero tutti di
cappello, e leggevo l'ammirazione mista d'un po' d'invidia su tutti i volti.
È ben vero che a tarda sera poco si distinguono i volti, e meno le
passioni che esprimono: ma che non vede un occhio innamorato?
V'erano momenti in cui tenendola serrata così, e combinandosi i nostri
passi come un solo passo, e tacendo entrambi quasi per muto accordo,
mi pareva che pensassimo e sentissimo insieme, ed ella si fondesse in
me, ed io in lei, e facessimo un solo essere.--E me la immedesimavo

per modo, che finivo per dubitare della sua presenza reale, e credermi
solo sognando di lei. Allora provavo il bisogno di accertarmi della sua
esistenza. Nè volevo parlare per non rompere l'incanto: e mi passavo la
sinistra mano dietro il dorso, e colla punta delle dita sfiorava il gomito
del suo braccio che posava sul mio. Se aveva le maniche serrate ai polsi,
le mie dita non incontravano che la stoffa dell'abito, ed ella non
s'avvedeva di nulla. Ma più spesso aveva maniche svolazzanti, ed allora
sentivo un gomito fresco e liscio, e non sapevo staccarmene, e mi
prendevano vertigini pel dispetto di non poterci arrivare che colla punta
delle dita. Ed allora Fulvia spaventata si voltava, poi alla sua volta
portava dietro la mano destra per accertarsi che non aveva una bestia
sul gomito. Sono certo che pensava ad una bestia, ed aveva paura.
Io lasciava che si tranquillasse, poi ripetevo il gioco, e la poverina
diveniva pensosa ed inquieta.
Una volta ebbe come un'idea, un sospetto del vero, perchè la vidi
cercare collo sguardo la mia mano sinistra. Ma questa era tornata già a
carezzarmi il mento, ed ella tornò daccapo ad impensierirsi.
E codesto perchè, malgrado tanta tempesta di giovanile amore che si
agitava in me, io la corteggiavo evidentemente meno de' miei amici; e
per una certa convinzione che avevo d'inspirare le stesse inquietudini,
gli stessi trasporti che provavo, non assumevo nessun'aria sentimentale;
ero sempre allegro, e questo mi faceva sembrare indifferente.
Come dunque Fulvia avrebbe potuto credere che un giovane che non la
corteggiava, nè faceva l'innamorato, cadesse in simili ragazzate? Io
però ero spesso indispettito di quella sua mancanza di penetrazione, e
pensavo:
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