Tempesta e bonaccia | Page 8

la Marchesa Colombi
giù in
via S. Giuseppe l'andirivieni di belle signore in toletta da mattina, di bei
giovanotti che le adocchiavano; e sbadigliavo ad intervalli misurati,
quando udii una vocina graziosa esclamare:
--Oh! il signor Guiscardi!
Era Fulvia accompagnata da Giorgio che andava alla prova dell'opera.
Io mi affrettai a salutarla, ed ella mi disse:
--Come va che ieri non l'ho veduto tutto il giorno?

Nulla dell'intonazione misteriosa e melanconica della frase ch'io
sognavo. Ed infatti, perchè mi avrebbe detto Max? Non me l'aveva mai
detto. E dove aveva preso io l'idea ch'ella mi amasse tanto da esclamare
quanto tempo! dopo un giorno? È vero ch'io non aveva stabilito l'epoca
del nostro incontro; ma è altresì vero che mi giungeva già in ritardo.
Fulvia mi rivedeva con evidente piacere; ma era lieta e serena come
all'usato.
--Credevo che mi amasse, ma non è vero, pensai. E questa contrarietà
mi ridonò tutto l'ardore giovanile del giorno innanzi; e quella frase
scolorita riprese tutte le sue attrattive; ed avrei dato l'anima mia per
sentirmi dire da Fulvia:
--Quanto tempo che non vi vedo, Max!
Il mio proponimento di fuggire la giovane artista fu completamente
dimenticato. Era evidente che non l'avevo preso se non per provare
quanto le rincrescerebbe la mia lontananza. Ma poichè non produceva
nessun effetto, era necessario ch'io mi facessi amare abbastanza, perchè
un'altra volta avesse a desiderarmi. Questa argomentazione
naturalmente non la formulai nè colle parole, nè col pensiero; ma mi
sentii irresistibilmente trascinato a ravvicinarmi a Fulvia, e da quel
giorno le consacrai tutte le ore, tutt'i momenti che la mia professione mi
lasciava liberi.
E rivissero in me i poetici entusiasmi della prima giovinezza, e le
timide peritanze e gl'impeti inconsiderati ed i terrori puerili, e l'eterno
dubbio e l'eterna speranza.
Con lei sciolsi il riso romoroso della fanciullezza; e mi abbandonai alle
vergini emozioni dei primi affetti. Tutto il mondo era rinverdito intorno
a me, ed io col mondo.
Nè mai parola esplicita d'amore era corsa tra noi, nè mai ci eravamo
trovati a lungo da soli dopo quella sera. Altri amici erano sempre con
noi e tutti la corteggiavano, e parecchi nutrivano evidentemente per lei
vero affetto, e speravano. Ed io li trovavo sommamente impertinenti,

ed era offeso che Fulvia non se ne mostrasse oltraggiata. Ed io pure
l'amavo, e speravo, e non mi credevo impertinente, nè avrei trovato
ragionevole che Fulvia considerasse codesto un oltraggio.
Tutti insieme facevamo lunghe scorribande per le nostre prosaiche
campagne lombarde; e talora la mesta Vittoria era con noi; e Fulvia le
cingeva la vita, e lungo i campi monotoni passeggiavano abbracciate e
parevano la statua del dolore stretta a quella della gioia, il compendio
della vita umana.
In tali giorni io non corteggiavo Fulvia, per non offrire alla marchesa
uno spettacolo doloroso; e di codesta abnegazione mi sentivo eroico.
Ma allora i miei amici le stavano intorno e le dicevano mille cose
galanti, e le davano margheritine a sfogliare per vedere chi di noi
l'amasse più; ed io mi sentiva molto infelice.

X.
Un giorno ella si fermò ritta in un prato con un fascio di codesti fiori e
li diede a reggere ad un bel giovane che le stava al fianco. Poi andò
man mano prendendo le margherite, e ad ognuna dava il nome d'uno di
noi, poi la sfogliava dicendo: «_mi ama, poco, molto, di cuore, alla
follìa, mi burla_.»
E codesto fece per gli uomini come per le donne ch'erano con noi, e ad
ogni oracolo erano esclamazioni e risa e commenti.
Quando disse il mio nome, io che me ne stavo a due passi con Vittoria,
tesi l'orecchio, e sentii battermi il cuore ed accelerarsi il respiro, come
se si agitasse una quistione vitale. Sull'ultima fogliolina, cadde la parola
«mi burla.»
--Oh mi burla! esclamò, è una impertinenza! Perchè potesse burlarmi
bisognerebbe ch'io l'amassi.
Quelle parole gettate al vento, con un lieto riso, mi suonarono al cuore

come una sentenza di morte--Bisognerebbe ch'io l'amassi. Dunque non
mi amava? Sperava ch'ella si volgesse a riferirmi la crudele risposta del
fiore per combatterne la calunnia; ma l'allegra signora passò tosto ad un
altro nome, e da quello ad un altro, senza pensarvi più che tanto; ed io
odiai e maledissi tutti quelli di cui il fiore asseriva che amavano Fulvia
molto, di cuore, alla follìa.
Che mi disse Vittoria in quel frattempo? Che le risposi? Si avvide della
mia agitazione? Mi trovò crudele? O ridicolo? Non ne so nulla; non vi
pensai punto. Dimenticai lei ed il mondo; rimasi solo col mio amore.
Oh gioventù, gioventù!
Ed i giorni correvano veloci, ed io correva con loro a capo fitto in
quella vertiginosa tempesta del cuore; dramma palpitante che si agita
nell'intimo del nostro essere, celato al di fuori dalle frivolezze e dai
sorrisi.
Fulvia teneva sulla tavola un albo, ed
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