mi vergogno, desideravo di sentirmelo dire colla sua
voce appassionata. Giorgio m'invitò a danzare, e mi fece danzare
davvero. Ma quando mi strinse al suo cuore, e forse la parola d'amore
stava per sfuggirgli dal labbro, quell'abbraccio mi lasciò fredda. Egli lo
sentì, e tacque.
--Ma perchè? Cosa le aveva fatto?
--Nulla: si ricorda che lei mi aveva chiesto il primo ballo per star seduti
vicini, a veder le tolette? Allora Giorgio andò ad invitare un'altra
signora, e volle spiegare ai miei occhi tutte le sue grazie. Mio Dio! Non
l'avesse mai fatto! Non ha mai osservato come è ridicolo un uomo serio
nella danza? E per colmo di sciagura, ballava bene! Che orrore! Era
così volgare, così volgare... mi fece un'impressione terribile... Mi fece
ridere.
--Ma è una follia. Potrà cancellarsi quell'impressione. Giorgio non
ballerà più, e sarà tutto dimenticato.
--No. Da quel giorno quel principio di simpatia svanì. Giorgio ha
sentito il contraccolpo della mia freddezza. Egli è cortese sempre, ma è
tutto mutato per me. Però siamo sempre buoni amici.
--Ah! lei è una fanciulla terribile, Fulvia. Povero Giorgio! Povero
Giorgio! Egli che va superbo di ballar così bene!
Mi accorsi che accompagnavo quest'esclamazione col più giocondo riso.
Ne rimasi atterrito. E pensai: Amerei forse questa pazza giovane che
respinge da sè un nobile cuore, come un cencio, perchè l'uomo che
glielo consacra balla troppo bene?
Quando stavamo per entrare in città, le dissi:
--Lei è una donna molto simpatica, ma molto strana.
Ella non mi rispose. Rientrati in casa, ci sedemmo come la sera innanzi,
ai due lati del tavolino.
Riepilogavamo in brevi frasi interrotte i discorsi fatti. Mi ricordo di
averle detto:
--Io compiango quel povero giovane che s'innamorerà di una donnina
tanto capricciosa.
--Non lo compianga--mi rispose Fulvia con una profonda nota di petto
che non aveva mai fatto vibrare fin allora, neppure in teatro.--Non lo
compianga, perchè io credo di saper amare come poche donne sanno.
In quel momento Fulvia era bella d'entusiasmo e di passione.
--Per otto giorni? le dissi; e veramente anche la mia voce non aveva più
il suono di prima.
Oh! gioventù, gioventù!
Prima che Fulvia avesse tempo a rispondere, l'uscio si aperse, ed entrò
Giorgio con alcuni amici.
Giorgio era pallidissimo; aveva l'occhio spento; una nube di tristezza
pareva velargli la fronte; i suoi atti erano lenti, la sua voce fioca. Disse:
«Buona sera, Fulvia» come avrebbe detto «_Requiescat in pace.» Lo
trovai molto ridicolo. Gli gridai alla mia volta «Buona sera, Giorgio!»
come avrei gridato «Viva l'Italia!_»
E traversata la sala andai a piantarmi dinanzi allo specchio con un
sorriso di soddisfazione. Non ero un uomo serio, ed avevo la
convinzione di ballare orribilmente male. Per la prima volta compresi
la portata di codeste mie grazie.
Quando mi ritirai nella mia camera e mi coricai, invocai invano il
sonno ed il riposo. Il bernoccolo della morale aveva preso in me uno
sviluppo straordinario. Ero profondamente pentito d'aver potuto
oltraggiare Ernesto ne' suoi affetti coniugali; un momento di delirio mi
aveva trascinato, mio malgrado, a tradire l'amicizia; quel momento era
durato quattro anni... Sono fenomeni strani, ma che pure accadono.
Giosuè non ha fermato il sole? Ma veramente io sentivo repugnanza a
quella vita di inganni; provavo il bisogno di rientrare nella legalità. La
profonda riconoscenza che serbavo a Vittoria pel suo amore (non si
trattava già più del mio) non m'impediva di osservare la tranquillità con
cui ella mentiva al marito alla mia presenza. Certo ella si prestava ad
un'odiosa commedia; certo ne soffriva; ma tuttavia con che arte vi si
prestava! E come sapeva nascondere le sue ripugnanze! Oh! una donna
che mente dinanzi all'uomo che ama, non può farlo che a danno di
quello stesso amore per cui si avvilisce fino alla menzogna. Io ero stato
ben generoso a superare il disgusto che m'inspirava quell'ipocrisia
sorridente; avevo spinto la clemenza fino a non avvedermene affatto;
ma ormai mi era caduta la benda. Il mio onore, il decoro e la pace di
Vittoria, l'amicizia di Ernesto m'imponevano di rompere quella
relazione colpevole. Ed a coronare tutto codesto capitolo di morale
rivoltato in tutti i sensi, veniva sempre come un ritornello la riflessione:
«Fulvia è una cara ed onesta giovane, ed io ballo assai male.»
Verso le quattro del mattino, stanco di avvoltolarmi nel letto, e stanco
di quelle idee sempre le stesse, che cominciavano a diventar noiose, mi
alzai, e mi posi a scrivere alla marchesa quelle mie riflessioni, ed a
persuaderla ch'era necessario separarci per sempre.
Per quanto io stesso riconosca i miei torti, e sappia punirmene col
sarcasmo, posso dirlo a fronte alta, io non sono cattivo. Avevo amata
Vittoria con tutta l'anima; la passione mi aveva trascinato per un pendìo
fatale e colpevole.
Le gelosie, gli ostacoli, l'acre sapore del frutto proibito e, più che tutto,
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