Tempesta e bonaccia | Page 4

la Marchesa Colombi
grande idea
del suo spirito, fu quello; tanto più che, nel pronunciare quel supremo
dei luoghi comuni, la vidi arrossire come una collegiale.
--Qui c'è del torbido, pensai; e quindi le chiesi dove fosse diretta.
--Dalla signora Melli, mi rispose, e continuava ad arrossire.
Io avevo tutta la stima di quella giovane, ma non ero tanto ottimista da
attribuire quel rossore e quella subita paralisi del suo spirito alla

soggezione che poteva inspirarle uno sconosciuto. E però, non per
curiosità, nè per interesse mio proprio, ma per l'interesse di Giorgio che
evidentemente l'amava, volli accertarmi se realmente andasse dalla
signora Melli, o se vi fosse qualche mistero di mezzo.
Lasciai ch'ella voltasse l'angolo del Corso, e quindi congedatomi
dall'amico le tenni dietro.
La signora Melli abitava una delle case del corso Venezia, tra la via
Monte Napoleone e la chiesa di San Carlo. Appostandomi nel caffè
dell'Europa, che è in faccia alla chiesa, avrei potuto vedere uscire
Fulvia dopo la sua visita, se realmente era diretta dove aveva asserito.
Ma mentre passavo dinanzi alla casa in questione per dirigermi al caffè,
ecco Fulvia che usciva dalla porta.
Ella mise la più lusinghiera delle esclamazioni al vedermi.
Quella rapida uscita non era entrata per nulla nelle mie previsioni; vidi
che era lieta d'incontrarmi ancora.
--La civettuola!--cominciai a recriminare internamente--gioisce di
trovarmi qui. Si figura che la stia aspettando pei suoi begli occhi. Come
sono vane le donne!
La signora Melli non era in casa. Proposi a Fulvia di fare una
passeggiata. Ella accettò, e risalendo il Corso ci dirigemmo verso Porta
Venezia.

VIII.
Non so come avvenisse, che, durante quella passeggiata, ci trovammo a
parlare d'amore, a teorizzarvi intorno, a fare della metafisica
sentimentale. Certo fu lei a mettere il discorso su tale argomento. Le
donne non sanno parlar d'altro.
Per pura cortesia io dovetti secondarla, ed in breve c'ingolfammo in uno

di quei laberinti di ragionamenti da cui non c'è filo d'Arianna che ci
tragga.
Mi sarebbe impossibile dire da che punto partimmo, e dove ci condusse
la discussione, sebbene ne abbia in mente molte parole e persino il
suono della voce di Fulvia nell'atto che le pronunciava; ma l'ordine mi
sfuggì; forse perchè il discorso non ne aveva.
Si parlava d'incostanza. Fulvia mi disse:
--Convenga che noi abbiamo creato questa parola, e l'abbiamo schierata
tra le colpe nel codice dell'amore, mentre non è che un fatto naturale.
Forse l'amore è un episodio tempestoso; non altro. Due persone
s'incontrano; dopo un tempo più o meno lungo s'accorgono d'amarsi; se
lo dicono; sono felici di quel sentimento: ma quello stato d'esaltazione
non dura, e, cessata l'esaltazione, è cessato l'amore. La costanza, che si
traduce in quell'affetto lemme lemme, da cui sono avvinti gli sposi, è
un portato della civiltà, e ne abbiamo bisogno per la tutela della prole.
Ma in natura non esiste. Ed infatti vediamo che tutti gli animali si
amano per un dato periodo di tempo poi diventano stranieri gli uni agli
altri.
Disse tutto ciò con molta serietà; ma quando io volli rispondere per
combattere codeste idee, esclamò:
--Mio Dio, come siamo ridicoli a voler ragionare sul sentimento, e
definirlo! Ognuno lo prova in un modo speciale ed agisce in
conseguenza.
E rise del suo discorso, e sopratutto non poteva perdonarsi d'aver detto
tutela della prole, e d'aver paragonato l'amore degli uomini, che per lei
era tutto idealismo, a quello degli animali inferiori.
--Come tutto questo è volgare e brutale! diceva. Subordinare la
passione al calcolo preventivo dei bisogni della società! Profanazione!
dov'è il Cristo che scacci i mercanti dal tempio? Il sentimento è
l'essenza divina che il soffio di Dio ha infuso nell'uomo. Accettiamolo
com'è.

--Tutto questo mi prova, le risposi con un'enfasi di cui allora non mi
rendevo ragione, che per ora lei non è innamorata. L'amore ha leggi
fatali che tutti siamo costretti a subire. Ammetto che possa finire, anzi
in tesi generale è certo che finisce. Ma nessun innamorato ha il
coraggio di dirlo e neppur di pensarlo. Mai, sempre, sono parole che si
legano inevitabilmente all'amore. L'idea che quegli sguardi che
c'inondano di dolcezza non si rivolgeranno più sopra di noi, che quella
mano tanto eloquente pel nostro cuore non stringerà più la nostra mano,
che fra noi e quell'essere, che è parte di noi, che è anzi tutta la nostra
vita, debbano frapporsi il tempo e lo spazio, ci mette spavento;
sentiamo di preferire la morte; e nel giorno dell'amore nessuno
comprende la vita fuori e dopo di esso.
Io parlavo coll'eloquenza della convinzione, che è pure la chiave del
successo. E nondimeno ella si aggrappava sempre più alla sua strana
teoria, ed io non potei rimovernela d'un punto.
L'entusiasmo con cui dipingeva il suo episodio tempestoso, mi faceva
sentire sempre più, non per me, ma per l'amico mio, che certo amava
Fulvia, il
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