Storia di unanima | Page 6

Ambrogio Bazzero
far inorridire, come là dove descrive la morte di Guidinga, che
in odio al marito, nuda, oscenissima e sanguinante, si rotola giù di
gradino in gradino, percuotendo quasi a morte il frutto esecrato che
porta nelle viscere: e la vendetta che trae il marito, mostrando all'antico
amante di lei il cadavere della donna senza lume accanto, senza frate,
senza croce fra le mani! Dicono le cronache che solesse venire poi la
madonna perduta e ripetesse la condanna: Voi non credete in Dio! Da
questa donna era nato Ugo; e crebbe cupo, angosciosissimo. «In
vent'anni tre volte ho sorriso,--esclama--quando la prima volta su
un'altissima cima vidi all'orizzonte sorgere il sole e vidi che avvolgeva
anche me ne' suoi raggi; quando suonò la tromba che mi chiamava
all'armi, quando... Non è riso, è sogghigno! Ebbene sogghigno oggi in
cui mi trovo tanto deserto....»
* * *
Come nel Tintoretto, così in molti dolori dell'Ugo il Bazzero descriveva
i suoi. Quell'anima dolce e tenerissima, che non sapeva far male a una
formica, caricò i suoi personaggi di feroci furori e quasi li incaricò delle
sue vendette. È un mistero che molte pagine del presente volume
spiegheranno.

* * *
Anch'egli amò la sua donna, ma noi come tutti gli altri. Amò troppo
castamente, e sacrificò all'ideale più che non sia permesso alla debole
natura umana. Fenomeno strano è questo che in un tempo, in cui dal
languido romanticismo l'arte e con essa il sentire si avviavano verso il
godimento pagano del realismo, strano fenomeno veramente è il vedere
questo solitario rifugiarsi nel deserto, con un'immagine sola soavissima
nel cuore, meno donna alla fine che luminosa e innocente visione,
ch'egli adorò estatico come quel d'Assisi adorò la Vergine sua, «Vi dirò
(troverete negli Schizzi dal mare), che una fanciulla bionda, la mia
fanciulla che mi cantava le poesie d'Iddio e dell'amore, mi ha fatto
piangere e mi ha ammalato a letto. Mi offriva vaniglie, viole del
pensiero, versi francesi e sorrisi di santa Cecilia, l'organista.»
A noi non è permesso di togliere il velo di cui egli volle circondata
Lidia, una bionda straniera, assai colta, che viveva del suo lavoro, la
quale, prima non potè corrispondergli perchè stretta da un'altra
promessa; e sciolta questa, quando forse poteva farla sua, egli o non
seppe o non osò contraddire a un'autorità ch'era dover suo di rispettare.
Poco importa a noi di sapere come scoppiasse in quel cuore, dopo
un'alba ridente d'amore, un tumultuoso uragano, che lo spinse fino
all'orlo dalla morte. Più che una lotta fra vivi, fu una lotta di fantasimi
creati dal desiderio e dalla volontà in cozzo, sostenuta coll'energia
dell'anacoreta, voluta per forza, inasprita dalle istigazioni feroci della
natura. Questa è la storia dell'Anima, che egli scrisse giorno per giorno,
nel silenzio del suo studiolo, e che noi confidiamo a tutte le anime
delicate che sanno accogliere ogni dolore umano con umana carità. A
chi ci domandasse l'utilità di una pubblicazione di questo genere, noi
non sapremmo rispondere nulla, perchè certe cose si appannano solo a
toccarle colla punta delle dita.
Immaginiamoci invece il fondo della pineta vastissima colle sue ombre
folte: e innanzi al pensiero del vergine giovinetto una immagine di
donna, esule da una patria infelice, Lidia: immaginiamoci il vecchio
cimitero del villaggio con tutti gli accozzi della rovina, e il fido cane
che parla all'amico poeta co' suoi grandi occhi onesti: poi è a pensare

un'anima per indole molto religiosa, anche quando la mente non crede
più ai misteri sacri del pane e del vino, ma che per una deliziosa
superstizione si accosta alla comunione per sentire Iddio nel fremito
dell'amore, per vedere Iddio buono e grande attraverso alla diafana
idealità della donna! Questo mistico è artista non soltanto come frate
Angelico, ma con impeti umani, come la calda scuola de' suoi adorati
cinquecentisti; onde il cozzo delle passioni, e voci strazianti, e
contraddizioni ed esecrazioni miste ad estasi stupende, e dappertutto un
incalzante presentimento di morte.
Il lettore troverà in queste centoquaranta pagine dell'Anima qualche
cosa di soverchio che ci fu necessario di lasciare così per tenere
insieme nella materia uno spirito troppo irrequieto; e spero che non gli
vorrà far colpa se nella foga dell'improvvisazione e del dolore il
giudizio di chi scrisse sulle cose e sugli uomini e il tenore dello stile
travalica di qualche linea la misura.
Il Bazzero fu un diligente coltivatore del dolore e lodando lui, a questi
soli splendenti, si può far credere che si voglia rimettere in auge un
genere d'arte che si estinse da un pezzo nelle proprie lagrime.
Sappiamo anche noi che uno dei modi di rendere le nostre passioni
troppo intense e malaticcie è di rifiutar loro ogni consolazione, e che
nel moderato esercizio dei nostri affetti è l'equilibrio della vita, e forse
la felicità. Il Bazzero ebbe torto di rifiutare
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 120
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.