SenzAmore | Page 9

la Marchesa Colombi
a letto. La signora Bellazio fece subito chiamare il
medico, e quando questi entrò in camera, Marco disse:
--Ci siamo, dottore; ora comincia la tosse.
--E domani finirà, rispose il medico ridendo; poi, dopo averlo visitato,
soggiunse:
--Ti sei buscata una bronchite; leggera, ma che ti farà stare a letto una
settimana.
Marco sorrise con aria incredula, e non rispose.
Dopo cinque o sei giorni si alzò, ma sempre più triste. Il dottor
Andreoni lo trovò seduto in una poltrona colle mani pendenti, il capo
chino, un'aria da vittima rassegnata, come se fosse stato infermo tutta la
vita. Gli applicò il termometro sotto l'ascella, lo esaminò, poi disse:
--Sei guarito; abbiti un po' di cura per alcuni giorni ancora, e non c'è
altro. Sta di buon animo.
--Sì, sì, sono guarito; ripetè Marco col solito piglio incredulo.
--Perchè lo dici a quel modo? Cosa ti senti?
--Nulla mi sento. Sto benissimo. Fra sei mesi starò anche meglio. Non
vede come ingrasso? E mostrò le sue mani, che infatti, da qualche
tempo, erano smagrite, como tutta la sua persona.
--Sfido! Se non mangi...
--Si mangia a seconda dell'appetito che si ha, e si ha appetito a seconda

della salute.
--Ma la salute, mio caro, dipende anche molto dalle disposizioni
d'animo in cui viviamo. Tu, da un pezzo in qua, ti dai alla vita solitaria,
alla malinconia. Se credi che questo regime ti giovi...
--Caro dottore; io non sono più pauroso d'un altro. La morte non mi
spaventa; ma ammetterà che la prospettiva di finire come i miei poveri
fratelli, di lasciar qui la mamma sola, dopo averle straziato il cuore con
una lunga malattia, non è fatta per mettermi di buon umore.
--Ma dove la vedi questa prospettiva? domandò il medico; t'assicuro
che sei forte, che stai benissimo.
Marco mostrò parecchi trattati di medicina che aveva sulla scrivania, e
che da qualche tempo erano diventati i suoi libri prediletti, e disse:
--Questi sono più sinceri di lei, dottore; mi dicono la verità che lei
vorrebbe nascondermi, e mi fanno bene, perchè mi preparano
all'avvenire che mi aspetta.
Il dottore si trattenne a lungo a discorrere con lui; gli espose
minutamente il suo stato di salute, la sua costituzione, quali gli
risultavano dalle ripetute visite, precisamente come avrebbe fatto con
un collega chiamato in consulto. Ma Marco gli rispondeva colla solita
ragione del male ereditario. Quell'idea gli si era fitta in mente con una
forza spaventosa, e gl'impediva di apprezzare qualsiasi argomento in
contrario.
I giorni passarono, venne il gennaio, cominciarono le feste del
carnevale, e Marco continuava a stare in casa come un convalescente.
Quando gli dicevano di uscire rispondeva che faceva freddo, che il
tempo era umido, e rimaneva per lunghe ore immobile nella poltrona, e
guardava fuori dalla finestra con certi occhi da moribondo che saluta la
luce, che faceva veramente pietà.
Il medico cominciò a mettersi in pensiero seriamente.

--Se vai di questo passo, ti ammalerai davvero, gli diceva.
Ma tutto era inutile, e Marco dimagrava visibilmente.
Sul finir di gennaio il dottor Andreoni prese a parte la signora Bellazio
e le disse:
--Mia cara signora, bisogna assolutamente che quel ragazzo cambi
modo di vivere, se non vuole ammalarsi. Sono quattro mesi che si sta
crucciando con un'idea penosa; è dimagrato, e quella malinconia
potrebbe procurargli il male che teme.
--Ma cosa posso fare? domandava la povera donna piangendo; ho
tentato ogni mezzo, gli ho proposto di viaggiare, ho invitati i suoi amici,
l'ho obbligato ad accompagnarmi fuori; ma, con chicchessia e
dovunque, la sua tristezza non lo abbandona mai. Cosa posso fare, mio
Dio?
--Cerchi di persuaderlo che non ha nessun male, che non ha
disposizione alla tisi; non c'è altro. Infatti non ci ha disposizione, glielo
assicuro io in coscienza.
Dopo un lungo colloquio col medico, che passò una parte della serata
con lei, la signora Bellazio entrò da Marco, pallida ed abbattuta, cogli
occhi ancora rossi, ed un gran peso sul cuore. Era una scena desolante.
Avere in sè la certezza che il suo ultimo figlio era sano, che avrebbe
potuto vivere, e vederlo spegnersi volontariamente per un pensiero
ostinato, vederlo andare incontro alla morte straziante de' suoi poveri
fratelli, era una tortura, per quella madre già tanto sventurata.
Eppure in quel momento era evidente che un'altra agitazione la turbava.
Lottava con sè stessa. Sentiva d'avere un dovere da compiere, e non ne
aveva la forza.
Un momento s'accostò al figlio, e susurrò: «Senti, Marco;» poi le
mancò il coraggio di proseguire; una timidezza invincibile le strozzava
le parole in gola. Quello che doveva dire era troppo difficile.

Sull'imbrunire, rinfrancata dalla penombra che la avvolgeva come in un
velo, cominciò:
--Senti, Marco; debbo dirti una cosa...
Ma quand'egli le alzò in viso i suoi occhioni indifferenti con
un'aspettazione senza interessamento, si intimidì un'altra volta, e
soggiunse fremendo:
--No;
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