della loro natura! e perchè? Per il
vantaggio di pochi signori che al loro greppo troveranno un bocconcino
più saporito.... Povere bestie! Povere bestie!»
E la fanciulla, che passava la vita rinchiusa in quella stanzetta, colle
mani e gli occhi forzatamente intenti sul tombolo, s'inteneriva sulla
sorte crudele dei polli prigionieri.
--È così bella la libertà! diceva. E correre per la campagna verde...
--Come la conosce la campagna, lei che non esce mai da questa stanza?
domandò il cuoco.
--Ci sono stata una volta, quando andavo a scuola ad imparare il
mestiere. La maestra, pel suo onomastico, ci condusse tutte a pranzare a
Sesto. Allora ne ho visti dei polli felici. C'era una covata di pulcini che
beccava pigolando beatamente sopra un letamaio; ed avevano l'aria
soddisfatta e ghiottona come tanti bimbi intorno alla vetrina d'un
confettiere.
Continuò a lavorare in silenzio, sorridendo alle sue memorie, poi
riprese:
--È tutto bello per loro quando si trovano nel loro ambiente rustico.
C'era un'enorme scrofa, disfatta dalla eccessiva pinguedine, che
sonnecchiava grugnendo ai piedi del letamaio al quale si addossava,
colla pancia stesa e tremolante come una vescica piena d'acqua o una
pelle di olio. Ed i pulcini, beccando e pigolando, scesero giù l'uno dopo
l'altro su quella vasta superficie nerastra; e passeggiavano come sopra
una piazza, cacciando il becco fra i crini, e comunicandosi a vicenda le
loro impressioni con dei pi pi pi pieni di meraviglia. Ce ne fu uno che
imprese un viaggio d'esplorazione nei labirinti d'un orecchio; ma la
scrofa, sentendosi solleticata, diede uno scossone che lo fece cadere a
terra con tutti i suoi compagni. E che pigolìo allora, che chiocciare
della mamma spaurita, che batter d'ali, che vocio per tutto il cortile!...
Smosse parecchi spilli, intrecciò i capi di filo facendo risuonare i fusi
innumerevoli che si urtavano, poi, sorridendo sempre alle sue immagini
serene, tornò a dire:
--Com'è bella la campagna!
--E neppure oggi non esce? domandò il cuoco. Se vedesse che giornata,
che sole!
--Che! Non ho tempo neppure di farmi la minestra. Non so quando mi
potrò muovere; ho un lavoro straordinario. Le signore hanno bisogno
delle trine per le bagnature; s'io vado a spasso chi le prepara? Debbo
star qui tutto il giorno e tutta la sera chi sa fin quando; e la mamma
pure ha bisogno che lavori per darle un po' di quattrini....
Il cuoco ridiscese alla sua cucina più malinconico di prima,
strascicando ancora più lentamente le cadenze della sua canzone:
«Senza galletto, la mia gallina O poverina--come farà....»
E la Teresa continuò ad armeggiare cogli spilli e coi fusi. Tratto tratto
alzava il capo e lo spingeva indietro girandolo da destra a sinistra per
isgranchirsi il collo indolorito dal lungo star curvo. Più volte si coperse
gli occhi con una mano, e li tenne stretti per riposarli. Poi ripigliava con
maggior lena il lavoro; ed intanto ripensava la miseria di quei polli:
«Quanto dovevano essere infelici! Certo non cantavano più là dentro;
dovevano morire di malinconia.»
Sull'imbrunire, mentre la Teresa si curvava cogli occhi fin sul tombolo
per profittare dell'ultimo barlume di giorno, s'udì una voce d'uomo,
giovane ed alta che cantava:
«Morettina dove vai? Vado a Monza sul tranvai.»
La Teresa stette un momento a sentire, poi posò il tombolo, salì in piedi
sulla sedia, e s'affacciò al finestrino che metteva sul tetto. Guardò
quella distesa sterminata di tetti e comignoli e gronde e grondaie e
cupole di chiese e campanili, e più lontano, come una fascia verde, le
cime degli ippocastani dei bastioni; poi l'azzurro, l'azzurro chiaro,
infinito, come se dopo i bastioni ci fosse il mare. E le parve di vedere la
campagna de' suoi ricordi; le parve d'esser laggiù, non più bambina con
la maestra trinaia, in un'osteria di Sesto, ma giovinetta innamorata della
libertà, dell'aria pura, della natura bella, e di camminare, di camminare
sotto i viali verdi, sull'erba umida e fresca.
«Morettina dove vai? Vado a Monza sul tranvai....»
ripeteva un po' in falsetto quella voce di tenore.
E la Teresa pensava d'andare a Monza sul tranvai, col suo vestito da
festa; e quel giovane che cantava, quello o un altro, era là sulla
panchetta del tranvai che l'aspettava. Andavano insieme; lui la
guardava negli occhi e lei si sentiva arrosire. Non parlavano, ma erano
felici, felici in silenzio, finchè scendevano alla stazione, si pigliavano a
braccetto, e via pel viale fin giù nel parco, dove sedevano accanto,
sull'erba verde, sotto il cielo turchino...
Le balzava il cuore di commozione, le brillavano gli occhi guardando
nell'ombra che era scesa tutt'intorno sulla città, e lei pure colla voce
tremante si mise a cantare:
«Morettina dove vai? Vado a Monza sul tranvai Vado a Monza sul
tranvai...»
Il cuoco, che stava rigovernando giù in fondo al cortile presso la
finestra della cucina, alzò il capo verso
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