SenzAmore | Page 2

la Marchesa Colombi

lunga. State a vedere qual è il mangime che fa la fortuna dei polli e la
nostra.
Prese colla destra un tubo di gomma infisso in una caldaia dove c'era
una miscela di latte e farina d'orzo; afferrò colla sinistra il becco d'una
gallina, e v'introdusse il bocchino del tubo; poi, premendo col piede un
pedale, mise in moto una pompa, che mandò la razione voluta dalla
caldaia nello stomaco della bestia.
--Ecco, disse togliendo il tubo e passando ad operare il pollo della cella
seguente. Per otto ore questa gallina è provveduta.
--Non mangerà altro? domandò il cuoco stupefatto.
--Ha avuta la sua misura rispose il pollaiolo. Guardate; «Centilitri
venticinque»; ed accennò una lastra di latta con quella cifra incisa,
infissa sulla parete esterna della cella. Ogni pollo aveva la sua razione
indicata a quel modo, come la dieta dei malati sui letti dell'ospedale.
Ce n'erano di grassissimi, immersi in una specie di sonnolenza ebete,
come ghiottoni assorti nella beatitudine del chilo. Soltanto quando la
macchina girava sul perno, ciondolavano stupidamente sulle gambe,

sproporzionate al peso del corpo, socchiudevano gli occhi un momento,
poi ricadevano nel loro sopore.
C'erano dei capponi dagli occhi ardenti come brace, che si scotevano
tutti in uno sforzo supremo per tirar su una gamba sotto l'ala. Ma la
catena era ben salda, ed i due piedi dovevano rimanere immobili sul
fondo della prigione; ed i capponi gorgogliavano una specie
d'imprecazione e gli occhi fosforescenti mandavano lampi.
La gallina invece, la pollastrella ch'era stata cibata per la prima, aveva
la testina fine, i movimenti del collo ondulati, le penne lucenti, ed il suo
corpo, floridamente arrotondato dall'assoluto riposo e dalla nutrizione
conveniente, non era ancora deformato dalla pinguedine.
Appena il pollaiolo ebbe finito di nutrirla, diede una scossettina al capo,
allungò il collo per ingollare del tutto il latte a la farina d'orzo che le
avevano messo in corpo, poi guardò in giù avidamente come cercando
qualche cosa da beccare.
Ma era ad un piano alto; c'erano molte celle sotto la sua, per cui il
pavimento rimaneva lontano, ed in quella semi-oscurità non le riusciva
di vederlo. Dubitando forse de' suoi occhi, sperando nel buio, spinse
due o tre volte il becco in giù, più in giù, quanto glielo permise la
legatura dei piedi; ma non toccò nulla, e si ritrasse.
Il cuoco si fece più accosto, e guardò nella cella. La gallina s'era
accovacciata, e rimaneva immobile cogli occhi chiusi come se dormisse.
Ma, traverso le palpebre sottili, l'occhio si moveva, ed un pigolìo
sommesso e lieto accompagnava il suo respiro.
Tratto tratto apriva gli occhi, poi li richiudeva in fretta, come
premurosa di ripigliare il filo d'un sogno caro. Forse, nell'ardore del
desiderio giovanile, si figurava di razzolare nello spazio sterminato
d'un'aia; sognava, in quel beato dormiveglia, la vita rumorosa d'un
cortile rustico; una ressa di tacchini, di anatre, di oche, di polli che
s'incrociavano, si urtavano, vociavano alto, e le liti dei galli, che
facevano accorrere ed ammutolivano di sgomento, la folla del pollame.

Due o tre volte le sfuggì una voce gongolante, un ohhh! gutturale e
prolungato, e mostrò un momento gli occhi ridenti di gioia. Chi sa che
non rivedesse colla fantasia da gallina, gli sciami di piccioni bianchi,
turchini, violetti, i bei polli volanti nell'aria, che scendono nei cortili a
narrare le vastità azzurre dell'orizzonte, devastano in fretta e in furia il
becchime e ripartono a volo. E le aiuole verdi, e la delizia di aprirsi un
varco nella frescura dell'insalata ancora bianca, del prezzemolo
tenerello, delle fragole bagnate di rugiada, come nei labirinti d'una
foresta, e l'emozione viva d'affrontare la granata dell'ortolana, o di
scansarla dietro i cavoli grandi!.. Solo chi è nato per vivere all'aperto,
nell'infinita libertà dei campi, può immaginare che visioni di verde,
d'azzurro, di sole, potevano balenare a quegli occhi chiusi! Ed il
galletto innamorato che segue la gallina colla testa alta, e la cresta
rosseggiante, che le si pianta dinanzi con una gambina alzata, assorto in
ammirazione fissandola cogli occhi sanguigni...
Ad un tratto s'udì sorgere dal cortile d'un pollaiolo accanto la voce
giuliva d'un galletto libero:
--Chicchirichi!!!
La gallina si rizzò d'un balzo; le penne le si gonfiarono intorno, la
cresta si fece scarlatta, e, tutta fremente di gioia, sporse il capino dalla
cella, e voltando il collo a scatti di qua e di là, guardò nel vuoto cogli
occhi dilatati, come se vedesse gli orti, l'aia, il gallo; e, dal fondo del
cuore, mise fuori anch'essa una voce acuta, giubilante come una risata:
--Chicchirichìiiii!!!
--«Gallina che canta da gallo, temporale o disgrazia» disse il cuoco, il
quale, malgrado i suoi vent'anni di vita cittadina, non aveva dimenticati
i proverbi del basso Novarese dov'era nato; e se ne andò canticchiando
fra i denti una vecchia canzone burlesca:
«Senza galletto, la mia gallina O poverina--come
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 63
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.