Roberta | Page 3

Luciano Zuccoli
per una generosità de' suoi

diciannove anni.
E l'Implacabile risorgeva; e quella spuma sanguigna voleva dire la
Morte, e quei colpi di tosse che riprendevano, erano la Morte, e tutto;
era la Morte, la Morte, la Morte nel giorno denso di luci minacciose,
divenuto il primo periodo d'un dramma del quale s'ignoravano gli
episodii futuri e s'intuiva la fine.
--Non spaventarti,--disse Emilia con la voce tronca.--Non è nulla.... Sai
che non può essere nulla.... Mando a chiamare il medico...
Roberta era caduta sul divano, e nell'ombra dell'angolo si vedevan
l'abito turchino a merletti bianchi, il volto cereo ed ovale. Le braccia
erano abbandonate lungo il corpo. Sotto l'atteggiamento incerto, covava
il terrore di chi aspetta un nuovo segno infallibile: ella attendeva un
altro colpo di tosse, un rigurgito di sangue, la rottura d'una arteria, che
la soffocasse in un lago di sangue; poichè nessuno meglio di lei
conosceva tutte le possibilità spaventose d'una soluzione certa.
--Sùbito dal medico; venga sùbito; lasci qualunque cosa.... Hai
capito?--ordinò Emilia alla cameriera accorsa.--Sùbito, sùbito, sùbito....
Vuoi andare a letto, Roberta? Ti aiuterò' io.... Fatti coraggio....
E mentre parlava riprendendo il suo posto innanzi alla sciagura, si
irrigidiva per resistere alla tentazione di fuggire, mandando grida
laceranti.... Piegarsi, prosternarsi brutalmente alla fatalità, piangere fino
al torpore e sentire il tempo uguale, infinito, passare su di lei e sopra le
cose, doveva essere una voluttà divina.
Ella non era creata per tener fronte alle avversità: con la morte del
marito dopo un anno di matrimonio e con la prima malattia di Roberta,
due volte una ribellione di inerzia era nata in lei; il bisogno di sfuggire
a sè medesima e all'azione, era divampato così furibondo, che le era
avvenuto d'inginocchiarsi a pregare perchè fosse mutata in una statua
dal gesto eterno, dalla insensibilità eterna....
Ma si riprese per quello stesso spirito di rivolta, il quale d'ora in ora
aveva forme così diverse; allungò le mani alla sorella e l'aiutò ad alzarsi,
riuscendo a sorriderle.
Sulla soglia della sua camera, Roberta si arrestò un istante sotto un
nuovo attacco del male; il fazzoletto si arrossò, una sottil bava
sanguigna le scese lungo la connessura delle labbra, si ruppe.... Allora,
sciogliendosi dalle mani d'Emilia, la fanciulla corse al letto, strappò gli
abiti, slacciò i cordoni delle sottovesti, gettò ogni cosa a terra, fu pronta,

e si ricoverò tra le coltri, dicendo febbrilmente:
--Vedi, che è proprio il male? Vedi, che bisogna morire?... Non parlare,
hai capito? Non dir nulla.... Il medico, non lo voglio.... Va via, anche
tu....
Emilia rimase in piedi presso il letto, fisicamenta assorta nei romori
della tempesta, che dalle sbarre delle gelosie proiettava il suo livido
ghigno nella camera.
Così, spoglia d'ogni attraenza materiale degli abiti, Roberta era
l'ammalata.
Sotto l'epidermide bianca, una miriade di piccoli punti rossi, qua diffusi
e là raccolti in nucleo, segnava la persistenza del morbo; il seno, questa
gloria incomparabile del sesso e della giovanezza, era crivellato dai
nuclei rossastri e s'affondava, invece di protendersi esuberante.... Di
quel corpo virgineo avvolto fra le lenzuola, non rimaneva attenta,
vivente, perspicace, se non la testa coi capelli biondi e disordinati; ma
ancòra sotto la pelle della fronte e sulle guance, comparivano le piccole
macchie rosse incancellabili. Gli occhi erano d'un azzurro vitreo, le
labbra tumide, i denti bianchissimi, il profilo netto e puro, quasi
ellenico. Il resto delle sue forme non aveva linea e valore, se non
corretto dalle mani scaltre delle cucitrici e lusingato dai colori festevoli
o ingenui delle stoffe.
Per la camera semioscura aleggiava un profumo indefinito d'acque
odorose; i mobili modesti delle case d'affitto variamente ricoperti e
senza stile, parevano l'avanzo di diversi addobbi; il letto solo in
mogano lucidissimo era elegante e nuovo. Sui tavolini, sui divani,
s'ammucchiavano i libri rilegati o sciolti, una collezione di romanzi, da
Walter Scott agli ultimi autori russi, che Roberta leggeva senza posa e
senza scelta, fino ad averne l'emicrania.
Ella era ancòra la fanciulla tipica, angariata e deliziata dai sogni un po'
umoristici del romanticismo; si costruiva in testa una favola di principi
e di re, si assegnava una parte nella favola, mutava e rimutava gli
episodii, vivendo, con qualche residuo dei preconcetti acquei di
collegio, in assoluto ritardo, in voluta contraddizione con tutto quanto
era vita intorno a lei.
Emilia, seduta a fianco del letto, tenendo fra le sue una mano di
Roberta, stava sempre attenta ai romori esterni, poichè nella camera era
piombato un silenzio di malattia, che la riconduceva a dieci mesi prima,

richiamando a galla i terrori, le stanchezze, le disperazioni di quei
giorni.
Fuori, a levante e a ponente, i lampi gareggiavano; sulla casa il tuono si
trascinava con lunga eco; di momento in momento, la camera era
infiammata da una vampa lividiccia, cui seguiva il crepitio secco d'una
scarica elettrica. Roberta si drizzava a sedere, guardava
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