Ricordi di Parigi | Page 9

Edmondo de Amicis
le
due fontane monumentali, e si vede a destra, in mezzo ai due grandi
edifizii a colonne del Gabriel, la splendida Via reale, chiusa in fondo
dalla facciata superba della Maddalena; a sinistra il ponte della
Concordia che sbocca in faccia al palazzo del Corpo legislativo,
imbiancato da un torrente di luce elettrica; dall'altra parte la vasta
macchia bruna dei giardini imperiali, inghirlandati di lumi, in fondo a
cui nereggiano le rovine delle Tuilerie; e dalla parte opposta il viale
maestoso dei Campi Elisi, chiuso dall'arco altissimo della Stella,
picchiettato di foco dalle lanterne di diecimila carrozze e fiancheggiato
da due boschi sparsi di caffè e di teatri sfolgoranti; quando s'abbraccia
con un sguardo le rive illuminate della Senna, i giardini, i monumenti,
la folla immensa e sparsa che viene dal ponte, dai boulevards, dai
boschetti, dai quais, dai teatri, e brulica confusamente da tutti i lati
della piazza, in quella luce strana, fra i zampilli e le cascate d'acqua
argentata, in mezzo alle statue, ai candelabri giganteschi, alle colonne
rostrali, alla verzura, nell'aria limpida e odorosa di una bella notte
d'estate; allora si sente tutta la bellezza di quel luogo unico al mondo, e
non si può a meno di gridare:--Ah Parigi! Maledetta e cara Parigi!
Sirena sfrontata! È dunque proprio una verità che bisogna fuggirti come
una furia o adorarti come una dea?

Di là ci spingemmo ancora nei giardini dei Campi Elisi, a girare fra i
teatri a cielo aperto, i chioschi, gli alcazar, i circhi, i concerti, le giostre,
per interminabili viali affollati, da cui si sentivano i suoni fragorosi
delle orchestre, gli applausi e le risate delle vaste platee trincanti, e le
voci in falsetto delle cantatrici di canzonette, delle quali si vedevano a
traverso i cespugli le nudità opulente e gli abiti zingareschi, in mezzo
allo splendore dei palchi scenici inquadrati fra le piante. E volevamo
andare sino in fondo. Ma più s'andava innanzi, più quel baccanale
notturno s'allargava e s'allungava; dietro a ogni gruppo d'alberi saltava
fuori un nuovo teatro e una nuova luminaria, ad ogni svolto di viale ci
trovavamo in faccia a una nuova baldoria; e d'altra parte il mio buon
Giacosa mi domandava grazia da un pezzo, con voce lamentevole,
dicendomi che gli occhi gli si chiudevano e che la testa non gli si
reggeva più sulle spalle. Allora si ritornò in piazza della Concordia, si
restò un momento in contemplazione davanti a quella meraviglia di via
di Rivoli, rischiarata per la lunghezza di due miglia come una sala da
ballo, e si rientrò a mezzanotte sonata nei boulevards, ancora
risplendenti, affollati, rumorosi, allegri come sul far della sera, come se
la giornata ardente di Parigi cominciasse allora, come se la grande città
avesse ucciso il sonno per sempre e fosse condannata da Dio al
supplizio d'una festa eterna. E di là trasportammo le nostre salme
all'albergo.
Ecco come passò il nostro primo giorno a Parigi.

UNO SGUARDO ALL'ESPOSIZIONE
La prima volta che entrai nel recinto dell'Esposizione dalla parte del
Trocadero, mi fermai qualche minuto in mezzo al ponte di Jena per
cercare una similitudine, che rendesse ai miei lettori futuri un'immagine
fedele di quello spettacolo. E mi venne in mente di paragonare il senso
che si prova entrando là dentro, a quello che si proverebbe capitando in
una gran piazza dove da una parte sonassero le orchestre del
Nouvel-Opéra e dell'Opéra-Comique, dall'altra le bande di dieci
reggimenti, e nel mezzo tutti gli strumenti musicali della terra, dal
nuovo pianoforte a doppia tastiera rovesciata fino al corno e al

tamburino dei selvaggi, accompagnati dai trilli in falsetto di mille
soprani da cafè chantant, dallo strepito d'una grandine di petardi e dal
rimbombo lontano del cannone. Non è una similitudine da Antologia;
ma dà un'idea della cosa.
Infatti, arrivando sul ponte di Jena, si sente il bisogno di chiuder gli
occhi per qualche momento, come arrivando su quella piazza si
sentirebbe il bisogno di tapparsi le orecchie.
Si resta nello stesso tempo meravigliati, stizziti, confusi e esilarati; che
so io?--incerti fra l'applauso e la scrollata di spalle, fra l'ammirazione e
la delusione; in una di quelle incertezze in cui, per solito, dopo aver
lungamente meditato, si prende la risoluzione di accendere il sigaro.
Figuratevi, da una parte, sopra un'altura, quell'enorme spacconata
architettonica del palazzo del Trocadero, con una cupola più alta di
quella di San Pietro, fiancheggiata da due torri che arieggiano il
campanile, il minareto ed il faro; con quella pancia odiosa e quelle due
grandi ali graziosissime, colle sue cento colonnine greche, coi suoi
padiglioni moreschi, coi suoi archi bizantini; colorito e decorato come
una reggia indiana, da cui precipita un torrente d'acqua in mezzo a una
corona di statue dorate:--un arco d'anfiteatro immenso che corona
l'orizzonte e schiaccia intorno a sè tutte le altezze. Dalla parte opposta,
a una
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