(Getta a terra la spada e si lascia ferire.)
Trafiggimi.
GUIDO.
Che festi?
LANCIOTTO.
Oh ciel! qual sangue!
PAOLO.
Deh... Francesca...
FRANCESCA.
Ah, Padre!...
Padre... da te fui maledetta...
GUIDO.
Figlia,
Ti perdono!
PAOLO.
Francesca... ah!... mi perdona...
Io la cagion son di tua morte.
FRANCESCA.
Eterno...
Martir... sotterra... oimè... ci aspetta!
PAOLO.
Eterno
Fia il nostro amore... Ella è spirata... io muojo...
LANCIOTTO.
Ella è spirata.--Oh Paolo!--Ahi, questo ferro
Tu mi donasti! in me si
torca.
GUIDO.
Ferma,
Già è tuo quel sangue; e basta, onde tra poco
Inorridisca al
suo ritorno il sole.
FINE DELL'ATTO QUINTO ED ULTIMO.
ROSILDE
CANTICA.
Dove il trovatore componesse questa cantica non appare; soltanto
vedesi ch'egli era fuori di patria ed infelice nelle agitazioni in cui si
trovavano a que' tempi le repubbliche lombarde--presso le quali si
ricava dai suoi poemi ch'egli peregrinò diverse volte--è probabile che
ivi s'attraesse lo sdegno d'alcuna di esse o di Federigo.
ROSILDE.
Canzoni de' miei padri, antiche istorie
Che a' felici d'infanzia anni
imparai
Nel mio alpestre idioma (inculta lingua
Ma d'affetti
guerrieri e di mestizia
Gentilmente temprata e dolce al core!)
Riedete nel mio spirto: e col soave
Risovvenir delle pietose note
Illudetemi sì che a' miei dolori
E al carcere ov'espio vani ardimenti
Togliermi io creda, e a me ritornin l'ore
Di mie gioje infantili--o di
Saluzzo
Nell'amato che prima aere spirai--
O sui fragranti colli
onde di fiori
E limpid'acque Pinerolo è lieta--
O per gli Eridanini
ameni poggi,
Ove la sera il Torinese ascolta
Della lontana villanella
il metro
Che avventure d'eroi dice e d'amore.
Oh poetica terra! oh
popolata
D'alte cavalieresche rimembranze
Or gaje or triste,
commoventi sempre!
Tu la prima onda porgi e le tue valli
Il primo
letto al giovin re de' fiumi,
Ed ei ne' campi tuoi cresce educato
Come in orto di fiori! E di quell'orto
Mentre il voluttuoso aere
m'inebbria
Veggio intorno--ove ch'io l'occhio sollevi--
Con fiero
atto seder sovra le alture
Negre castella, e scemasi a tal vista,
Ma no,
non cessa e sol natura cangia
La voluttà che mi ridea nel core
E più
seria diventa e non men dolce;
E allora il pastoral flauto lasciando
Toccar desio la trobadoric'arpa.
Musa, o patria, a me sien le tue
memorie:
Rosilde io canto.--
Bella era ed amata
E al suo sposo e signor tenera amante:
E--come
a fiore un fiorellin s'appoggia--
Nelle braccia materne un pargoletto
Della madre al sorriso sorridea.
Se torna dalla caccia il cavaliere
Teodomiro, oh quanto gli par lunga
La salita al castel! non perchè il
domi
Grave stanchezza, ma perchè alla sposa
Adorata il pensier
vola ed al figlio:
Erge ei gli occhi alla torre--e v'apparìa
Lui
desiando la venusta dama
Col leggiadro bambin, quasi dal cielo
Scesa fosse d'Iddio la Vergin Madre
A consolar d'un suo sguardo i
mortali.
Ma improvviso precipita il dolore
Sui dì felici! Era un
mattino, e in riva
Stava al Lemna natio Teodomiro
Inseguendo il
cinghial. Vibra la freccia,
E tra questa e la belva, ahi, dal cavallo
Spinto è il giovin Denigi, e cade esangue!
Denigi il fratel d'arme, il
fido amico
Dell'uccisore! (Vive ancor negli inni
Di tue vaghe
fanciulle, o Pinerolo,
La beltà di Denigi e il suo coraggio.)
Oh
rammarco! rammarco! e dacchè tinto
Del sangue dell'amico è il
cavaliero,
Sfuma ogni gioja sua. Sovra il castello,
Così beato in pria,
siede e vi spande
I negri vanni suoi l'angiol del male;
E dello spirto
scellerato il riso
Fama è che molti udir di notte tempo,
Quando
consunto da languor si spense
Di Rosilde il figliuolo, e del materno
Pianto ulular le desolate sale.
Nè qui del mal le orribili minacce
Termine han pure. Ahi! di Rosilde istessa
Le giovanili guance
scolorarsi
Vede lo sposo, e andarsi a poco a poco
Estinguendo in
que' grandi occhi il bel raggio
Onde dianzi splendean con tanta vita:
E in segreto ei sospira, e mentre asconde
Con ridenti parole il suo
timore,
Gli s'arriccian le chiome immaginando
Un'altra tomba--e in
questa tomba chiusi,
Chiusi quegli adorati occhi per sempre!
Presso
a morte ella venne. E allor proruppe
Nel già incredulo cor del
cavaliero
Religïon con tutta sua possanza:
E sceso a Pinerolo, al
maggior tempio
Ricchi doni profonde, e con solenni
Riti espiar
l'involontario cerca
Omicidio commesso, e (se mai peni)
Suffragar
di Denigi il caro spirto,
Onde placato il ciel renda a Rosilde
Vita e
gioja e di madre il dolce nome.
Ahi! nel sonno gli appar l'amico
spettro,
E non irato è il volto suo, ma mesto
Come d'un che pietoso
asconder brami
Le proprie, e più d'altrui senta le pene,
Nè gli si
doni il sollevarle; e porti
Una coppa amarissima, e non sia
Quella
coppa un rimedio, e ber si debba!
--Deh, spiegati! dicea Teodomiro,
Spiegati!--Ed il fantasma una lontana
Strada additava, e in fondo a
quella strada
Con eccelse basiliche sorgea
Una grande città: dir
sembra--«Vanne,
Là Dio ti chiama!» e mentre ivi lo affretta
Con
una man si copre il volto e piange.
Atterrito si desta il cavaliere:
L'oscuro sogno medita; ispirato
Alfin si crede. «Ah! non v'ha dubbio,
è Roma
Quella grande città: col pio vïaggio
Te, Denigi, da tue
fiamme, e da morte
La cara donna liberar degg'io»--
Dice, e ad un
tempo a ciò s'astringe in voto.
Esultate, o colline! ad abbellirvi
Torna col redivivo occhio Rosilde.
Di festive ghirlande olezzan tutte
Del castello le sale: echeggian l'arpe;
Stagion tornò di danze e di
conviti:
L'angiol della sventura è dileguato.
Ma fido al voto suo
prende il bordone
Teodomiro e seco uno scudiero,
Nè che
Continue reading on your phone by scaning this QR Code
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the
Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.