scintillaron di materna?Pietà ineffabil, sin da' miei natali.
E a quel Figliuol che terra e ciel governa?Per me chiedesti e vai chiedendo a?ta,?Sì, ch'io pur giunga alla sua pace eterna.
Ne' giorni più infelici di mia vita?L'invisibil tua man mi terse il pianto;?Ognor t'han miei rimorsi impietosita.
Amo, e sovra il cor mio porto col santo?Nome di Dio quel di Maria stampato!?Quel della Donna che a Lui siede accanto!
Della Madre che il Figlio ha per me dato!
L'UOMO.
Omia possum in eo qui me confortat.
(_Philipp_. 4, 13)
Capir non può l'umano spirto quale?Fosse dell'uom la prima, alta natura,?Pria che i suoi giorni avvelenasse il male.
Ma di natia grandezza un resto dura?Pur d'Adam nel nipote sventurato,?Che un Dio, piucchè una belva, in sè affigura.
Quel corrucciarsi del suo abbietto stato?è ad un tempo alterigia e sentimento?Ch'ei pel fango terren non fu creato.
Giocondo del suo pascolo è l'armento,?E se rugge il leon, rugge per fame,?E quand'è sazio, anch'ei posa contento.
Solo il mortal, benchè ogni senso sbrame,?E si sforzi a letizia, ode una voce?Che in cor gli grida:--L'ore tue son grame!
Sempre muta pensier, sempre lo cuoce?Uopo sfrenato di sc?enza o possa,?Sempre una spina a sue calcagna nuoce.
Solo fra gli animali ei pur dall'ossa?De' cari estinti aspetta vita, e crede?Sovrastar gioie e danni oltre alla fossa.
In ogni secol l'uom si vanta erede?D'avito senno e cresciutissime arti,?Ed egualmente sitibondo incede.
Ambisce ragunar tutti i cosparti?Lumi dell'universo, e farsi Iddio,?E rifuggongli quei da cento parti.
Agogna fama, e lo ravvolge obblio,?Sanità cerca, e infermità l'abbatte,?Sa di peccare, e vorrebb'esser pio.
Contr'altri, contra sè freme e combatte,?Vuol parer dignitoso ed assennato,?E il premon fantasie luride e matte.
Egli è un astro smarrito ed oscurato?Che di sua prisca gloria un raggio serba,?E volge a rallumarsi ogni conato.
Egli è una cosa angelica e superba,?Egli è un Nabucodonosor del cielo,?Dannato co' giumenti a pascer l'erba.
Sull'intelletto suo s'è steso un velo,?Ch'ei maledice ed agita, e attraverso?Scorge il tesor perduto ond'è sì anelo.
Come offes'egli il Re dell'universo??Qual fu l'arbor vietata ch'egli ha tocca??Sin quando in mezzo a' vermi andrà disperso?
Basti che mentre di giustizia scocca?L'ineluttabil folgore sull'uomo,?Sull'uom misericordia anco trabocca.
Basti che sì da colpa ei non è domo,?Che per mano di Dio non debba pure?Frangere il giogo, e avere in ciel rinomo.
Basti ch'ei fra ignominie e fra sciagure?Sta grande e conscio di virtù divine,?E gli destan rossor vizi e lordure.
Ei molto ignora, ma le sue rovine?Attestan quella origin ch'egli avea,?E suda a restaurarle insino al fine;
E abborre l'angiol vil che il seducea,?L'angiolo vil che invano ognor gli grida:??Nulla tu sei che argilla stolta e rea!?
Taci, bugiardo spirto! Iddio m'affida:?Ei non m'ha tolto, come a te, l'amore:?Uom si fe' perch'io 'l veda ed abbial guida.
Servo a lui son, ma sono a te signore;?Mal cangi astutamente e viso e manto,?Per trarmi fra tuoi schiavi al tuo dolore.
Mal di filosofia t'usurpi il vanto,?Per insegnarmi il tuo esecrando scherno?Sull'alte mire del tre volte Santo!
Io caddi al par di te dal regno eterno,?Ma non sì basso; e se mi curvo al suolo,?Non è per invocar fango ed inferno,
Bensì lui, che raddurmi al ciel può solo!
LA REDENZIONE.
Bibite ex eo omnes.
(_Matth_. 26,27.)
Uom, chi sei? Non t'inganni l'argilla?Ov'hai stigma d'obbrobrio e di morte.?In quel fral maledetto sfavilla?Una luce che a Dio somigliò.?Spaventosa e sublime parola!?Dio nell'uom crea di luce uno spirto,?Che dovunque Dio s'alzi trasvola,?Che l'abbraccia, che in lui tutto può.
Antichissima colpa ed oscura?Dal felice cospetto del Padre?Quell'altissima un dì creatura?Discacciò, preda a vermi e dolor.?Disputar colle belve la terra?L'uom fu visto, alle belve agguagliato;?Gli elementi gli mossero guerra,?Nulla il vinse: egli grande era ancor.
Ma più grande il fe' guardo d'amore?Ch'ei pentito osò volgere al cielo:?Da quel guardo fu preso il Signore,?Scese un giorno, e coll'uomo s'unì.?Non fu tolta alla colpa ogni pena?Per giudizio ineffabil del Santo,?Ma la _coppa del duol_ fu ripiena?Di quel Dio che coll'uomo patì.
Da quel giorno s'inchina al mortale?Ogni mente che inchinisi a Dio,?Perch'entrambe con palpito eguale?Condivisero gaudio e martìr.?Da quel giorno gli spirti del cielo,?Cui straniera fu sempre sventura,?Santa invidia portaro all'anelo?Che per Dio può con gioia morir.
Dal suo abisso l'eterno perduto?Leva il capo, e con perfido ghigno?Grida:--Vieni, o tu forte caduto!?A me vieni, io de' forti son re!?E il fellon nega un Dio salvatore;?Ma il mortale a quell'empio risponde:?--Sento ignota virtù nel dolore,?Ciò mi svela che il Provvido v'è!
Sì, v'è Dio, l'adorabile, il forte!?Fatto l'uom a sua immagine avea:?Ei dell'uom meritevol di morte?Fessi immagine, e a sè il r?unì.?Oh magnanimo, a tanta bassezza?Sceso sei per restarne vicino!?Più non nuoce, no, morte, se spezza?L'incantesmo che a te ne rapì.
Oh mio Dio! più di morte, crudele?è il dolor che dividemi il core,?Ma il dolor convertì l'infedele,?Anco i giusti migliora il dolor.?Vero è il fatto, innegabil, tremendo:?Non v'è in terra virtù senza pianto.?Ecco il seno: ah! ch'io t'ami piangendo!?Ecco il lacera, il lacera
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