(_Stab_.)
Amo, e sovra il cor mio col nome santo
Sta del Signor quel d'una
Donna impresso
Quel della Vergin che a Lui siede accanto!
Quel di Colei che gloria è del suo sesso!
Quel di Colei ch'anima avea
sì bella,
Ch'a sue cure Dio volle esser commesso!
E bambin s'appendeva a sua mammella,
Ed ha i merti di lei co' suoi
contesti,
E l'alzò dov'è a noi propizia stella!
Salve, o Maria! Tu con Gesù stringesti
Fra le tue braccia tutti noi
mortali;
Tu per fratello il Redentor ne desti.
Su me pur, su me pur tue celestiali
Pupille scintillaron di materna
Pietà ineffabil, sin da' miei natali.
E a quel Figliuol che terra e ciel governa
Per me chiedesti e vai
chiedendo aïta,
Sì, ch'io pur giunga alla sua pace eterna.
Ne' giorni più infelici di mia vita
L'invisibil tua man mi terse il pianto;
Ognor t'han miei rimorsi impietosita.
Amo, e sovra il cor mio porto col santo
Nome di Dio quel di Maria
stampato!
Quel della Donna che a Lui siede accanto!
Della Madre che il Figlio ha per me dato!
L'UOMO.
Omia possum in eo qui me confortat.
(_Philipp_. 4, 13)
Capir non può l'umano spirto quale
Fosse dell'uom la prima, alta
natura,
Pria che i suoi giorni avvelenasse il male.
Ma di natia grandezza un resto dura
Pur d'Adam nel nipote sventurato,
Che un Dio, piucchè una belva, in sè affigura.
Quel corrucciarsi del suo abbietto stato
È ad un tempo alterigia e
sentimento
Ch'ei pel fango terren non fu creato.
Giocondo del suo pascolo è l'armento,
E se rugge il leon, rugge per
fame,
E quand'è sazio, anch'ei posa contento.
Solo il mortal, benchè ogni senso sbrame,
E si sforzi a letizia, ode
una voce
Che in cor gli grida:--L'ore tue son grame!
Sempre muta pensier, sempre lo cuoce
Uopo sfrenato di scïenza o
possa,
Sempre una spina a sue calcagna nuoce.
Solo fra gli animali ei pur dall'ossa
De' cari estinti aspetta vita, e
crede
Sovrastar gioie e danni oltre alla fossa.
In ogni secol l'uom si vanta erede
D'avito senno e cresciutissime arti,
Ed egualmente sitibondo incede.
Ambisce ragunar tutti i cosparti
Lumi dell'universo, e farsi Iddio,
E
rifuggongli quei da cento parti.
Agogna fama, e lo ravvolge obblio,
Sanità cerca, e infermità l'abbatte,
Sa di peccare, e vorrebb'esser pio.
Contr'altri, contra sè freme e combatte,
Vuol parer dignitoso ed
assennato,
E il premon fantasie luride e matte.
Egli è un astro smarrito ed oscurato
Che di sua prisca gloria un raggio
serba,
E volge a rallumarsi ogni conato.
Egli è una cosa angelica e superba,
Egli è un Nabucodonosor del
cielo,
Dannato co' giumenti a pascer l'erba.
Sull'intelletto suo s'è steso un velo,
Ch'ei maledice ed agita, e
attraverso
Scorge il tesor perduto ond'è sì anelo.
Come offes'egli il Re dell'universo?
Qual fu l'arbor vietata ch'egli ha
tocca?
Sin quando in mezzo a' vermi andrà disperso?
Basti che mentre di giustizia scocca
L'ineluttabil folgore sull'uomo,
Sull'uom misericordia anco trabocca.
Basti che sì da colpa ei non è domo,
Che per mano di Dio non debba
pure
Frangere il giogo, e avere in ciel rinomo.
Basti ch'ei fra ignominie e fra sciagure
Sta grande e conscio di virtù
divine,
E gli destan rossor vizi e lordure.
Ei molto ignora, ma le sue rovine
Attestan quella origin ch'egli avea,
E suda a restaurarle insino al fine;
E abborre l'angiol vil che il seducea,
L'angiolo vil che invano ognor
gli grida:
«Nulla tu sei che argilla stolta e rea!»
Taci, bugiardo spirto! Iddio m'affida:
Ei non m'ha tolto, come a te,
l'amore:
Uom si fe' perch'io 'l veda ed abbial guida.
Servo a lui son, ma sono a te signore;
Mal cangi astutamente e viso e
manto,
Per trarmi fra tuoi schiavi al tuo dolore.
Mal di filosofia t'usurpi il vanto,
Per insegnarmi il tuo esecrando
scherno
Sull'alte mire del tre volte Santo!
Io caddi al par di te dal regno eterno,
Ma non sì basso; e se mi curvo
al suolo,
Non è per invocar fango ed inferno,
Bensì lui, che raddurmi al ciel può solo!
LA REDENZIONE.
Bibite ex eo omnes.
(_Matth_. 26,27.)
Uom, chi sei? Non t'inganni l'argilla
Ov'hai stigma d'obbrobrio e di
morte.
In quel fral maledetto sfavilla
Una luce che a Dio somigliò.
Spaventosa e sublime parola!
Dio nell'uom crea di luce uno spirto,
Che dovunque Dio s'alzi trasvola,
Che l'abbraccia, che in lui tutto
può.
Antichissima colpa ed oscura
Dal felice cospetto del Padre
Quell'altissima un dì creatura
Discacciò, preda a vermi e dolor.
Disputar colle belve la terra
L'uom fu visto, alle belve agguagliato;
Gli elementi gli mossero guerra,
Nulla il vinse: egli grande era ancor.
Ma più grande il fe' guardo d'amore
Ch'ei pentito osò volgere al cielo:
Da quel guardo fu preso il Signore,
Scese un giorno, e coll'uomo
s'unì.
Non fu tolta alla colpa ogni pena
Per giudizio ineffabil del
Santo,
Ma la _coppa del duol_ fu ripiena
Di quel Dio che coll'uomo
patì.
Da quel giorno s'inchina al mortale
Ogni mente che inchinisi a Dio,
Perch'entrambe con palpito eguale
Condivisero gaudio e martìr.
Da
quel giorno gli spirti
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