colori!
"Olenti effluvii, addio!"
E la Morte passava.--Un'armonia
Di indistinti sospiri e di lamenti
Sorgea dovunque, ovunque la seguia
Nei sentieri silenti.
Eran sospiri timidi, repressi,
Come il fruscìo d'un abito di dama
Che
va di notte a colpevoli amplessi;
Era un pianto, una brama
Di restar fiori e foglie un giorno ancora.
Un povero giacinto
domandava
Di lasciargli veder la nuova aurora...
Ma la Morte
passava.
Il giranio avvizziva; le vïole,
Baciandosi fra lor con aria mesta,
Diceansi addio, e sull'umide ajuole
Chinavano la testa.
Solo una rosa, una fulgida rosa
Dal vivace color, nata il mattino,
Surse a lottar, fidente e coraggiosa,
Coll'avverso destino.
E alla Morte gridò: "Perchè degg'io
"Morire adesso che son nata or
ora?
"La mia parte di vita io chieggo a Dio...
"Io vo' vivere ancora!"
"Perchè vivere ancor?"--chiese la Morte.
"Perchè ho terror del
nulla..."--"Erri; m'ascolta:
"Morir non è svanîr, ma cambiar sorte,
"Nascere un'altra volta...
"La mia man non distrugge, ma trasforma;
"Apportatrice di vita
indefessa,
"La Materia non muor; muta la forma,
"Ma la creta è la
stessa."
--"Lasciami dunque la forma presente,
"Con te non mi lagnai della
mia sorte.
"Io voglio restar rosa eternamente!..."
--Le rispose la
Morte:
"E che dirà la terra, a cui tu devi
"Porger te stessa in provvido
alimento?
"Tu dalla morte altrui vita ricevi;
"A te l'altrui tormento
"Dà l'esistenza; il loto che si muta
"Nel tuo stelo e le foglie ti colora,
"Muore anch'ei; d'esser rosa ei si rifiuta
"Ma pur convien ch'ei
mora!...
"A che tanto terror?... Prima d'un mese
"Che saran le tue foglie?... Od
aria o loto.
"Per ridonarle a te, l'April cortese
"Le farà d'aria e loto.
"La stessa brama, che tu senti, avranno,
"Morir dovendo, l'aria e il
loto allora...
"Ma poi, mutati, Iddio benediranno
"D'essere rose
ancora...
"Benediran l'Ente Infinito e Ignoto
"E d'esser rose lo ringrazieranno,...
"Per poi lagnarsi il dì che in aria o loto
"Rimutarsi dovranno!
"È un'assidua vicenda!...--Il nëonato
"È vecchio quanto il Tempo!--È
un'infinita
"Catena!... Tutto muore!... E nel Crëato
"Freme eterna la
vita!..."
Tacque e passò.--Cadean le foglie a mille
Giallastre e secche; e dietro
i tenui fusti
Biancheggiavan le mura delle ville;
E gli sfrondati
arbusti
Parevan membra di bimbi malati
Usciti da mefitici ospedali;
Borea
scopava coi buffi gelati
Le foglie nei vïali;
E intorno, intorno, un susurro s'udia
Confuso e fioco, come il suon
lontano
D'un'arpa, cui chiedesse un'armonia
Un'aërëa mano.
Era un canto di grazie; era un concento
Che nel vespro nebbioso si
perdea;
Le foglie e i fior caduti, a cento, a cento
Lo
ripetean.--Dicea:
"Ave, o Signor, che ci desti la vita,
"Che loto ed aria quaggiù ci
mettesti!
"Possente Iddio, la tua bontà infinita
"Fa che si
manifesti!...
"Possente Iddio, ci manda un po' di piova!
"Possente Iddio, ci manda
un po' di neve!
"E tien lungi l'April, che in forma nova,
"Aimè,
mutar si deve!
"Deh!... Tien lungi l'Aprile!... Ave, o Signore!
"Noi siamo lieti della
nostra sorte...
"L'April tien lungi, chè mutarci in fiore
"Vuol dir
darci la morte!"
Milano, giugno 1875.
A FULVIO FULGONIO
O modesto filosofo,
Che giunto a quarant'anni,
Fra l'incessante
turbine
Di miserie e d'affanni,
Vivi solingo e povero,
E nel tuo
cor securo
Sotto l'usbergo del sentirti puro,
Di' qual è dunque il tramite
Che al sepolcro conduce
E cui conforta
il raggio
D'inestinguibil luce?
Dimmi, come si vincono
Queste
umane tempeste,
Che fan le genti o torve, o tristi, o meste?
Verso la tomba scendere
Io ti contemplo, o amico,
Come l'ombra di
Socrate,
Il grande savio antico;
Tu pure d'ogni infamia,
Con
bocca altera e muta,
Bevesti in questo mondo la cicuta!
Deh!... Se una pia memoria
E un fervido entusiasmo,
Possono
ancora emergere
Dall'umano mïasmo,
Lascia ch'io possa volgerti
Quell'arcana parola
Che sa dire chi soffre e che consola.
Sorridi ancora!... Passano
I secoli e le genti,
E le plebi, al barbaglio
Degli empi pläudenti,
Tu non merchi gli applausi,
Ma sul tuo
franco viso
Ami serbar l'impavido sorriso,
O modesto filosofo,
Spesse volte affamato,
Io mi faccio una gloria
Di camminarti allato!
O dolce amico, insegnami
A vivere securo
Sotto l'usbergo del sentirmi puro!
Agosto 1875.
LA CHIESETTA DEI MORTI
(A GIULIO CORSARI)
L'ho vista la chiesuola; essa è perduta
In mezzo ai campi come un
eremita;
Ed è deserta, solitaria e muta,
Qual chi studia il problema
della vita.
O teschi, o tibie, o stinchi ammonticchiati,
Macerie umane, chi vi
mosse in terra?
Insiem congiunti come v'han chiamati?
Bécero,
Truffaldino o Fortinguerra?
Sotto una rozza lapide sconnessa
Dorme il vecchio curato del
villaggio;
Egli almen cogli offizii e colla messa
Il nome a questa età
lasciò in retaggio!
Ma un teschio, posto là, sul cornicione
Con cent'altri, ridendo, par che
esclami:
"Bel profitto davver, se le persone
"Deggion dir ti
chiamavi_ e non _ti chiami!"
Ed è un teschio giallognolo e pulito
Siccome d'un nodar la pergamena,
Ed ha la nuca dal profilo ardito
E guarda in giù con un'occhiaja
appena.
................................
................................
È il mattino.--Sull'erba verde e folta
Scintillano le gocce di rugiada,
E il ritornello da lontan s'ascolta
D'un villano che passa sulla
strada.
La Natura e il Lavoro!--E poi?--La testa
Poggiar sul cornicione d'una
chiesa,
Coi passeri che intorno le fan festa
O col becco alle vuote
orbite offesa!
E contemplare i proprii stinchi ignudi
In una nicchia, messi insieme a
mille,
O (peggio ancora) un pöeta che sudi,
E cerchi un verso
alzando le pupille...
Ei colla vita di cento persone,
(Che visser forse ognuna settant'anni)
Farà dieci quartine o una canzone.
Che l'udito ai viventi o strazii, o
inganni!...
Poveri morti,
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