l'Esperienza!"
Agosto 1876.
LE DEMOLIZIONI
A EUGENIO TORELLI-VIOLLIER.
Pietre, da tanti secoli
In un bacio congiunte,
Travi e barre,
dall'acqua
E dal sole consunte,
Barcollanti casipole,
Ieri viventi
ancora,
Oggi il Tempo vi mormora:
"È giunta l'ultim'ora!"
Il Tempo!... Il triste scettico;
L'êra, l'anno e l'istante;
L'orco che
mangia i popoli;
L'impassibil quadrante;
La sfinge inaccessibile;
Il mistico serpente,
Che afferra, eterno circolo,
La sua coda col
dente.
In un nembo di polvere
Cadon le vecchie mura;
Sembran côlte le
tegole
Da un'orrenda paura;
Ed i balconi, vedovi
D'imposte e
senza vetri,
Sovra i passanti guardano
Come occhiaje di spetri.
Povere case!... Il rantolo
Della vostra agonia
Fu lungo!... Il dì
novissimo
Lentamente venìa!
Barbari sempre, gli uomini
V'han
fatto i funerali,
Pria che cadeste vittime
Sotto i colpi mortali.
E accanto a voi scolpirono,
A scherno, in questi giorni,
Di fastosi
palagî
I superbi contorni.
Ah! quei colossi risero
Di voi pigmei
morenti,
E più amari vi fecero
I fatali momenti!
Povere case!... Io vagolo
A voi dintorno.--È notte.
E l'ombre dalle
fiaccole
Rosseggianti son rotte;
E, somiglianti ai demoni
Cui
l'eccidio conduce,
I pïonieri nereggiano
Sugli sprazzi di luce.
Ed io penso alla storia
Delle mura cadenti;
Ai drammi, alle
commedie,
Agli idilii innocenti
Che si ordiron per secoli
Nelle
piccole stanze
Ed impressero un marchio
Sulle umane sembianze.
Ed io penso alle veglie,
Alle insonnie, ai riposi,
Alle fedi, alle
infamie,
Ai convegni amorosi,
Ai sorrisi, alle lagrime,
Ai dì
foschi, ai dì lieti,
Ai pöemi che videro
Quelle quattro pareti!
Oh!... non ridete, splendide
Case dai freschi ornati,
Palagî da una
magica
Mano in un dì crëati!
Or tutti a voi sorridono
Con beata
alterezza
Ed i vostri muri spirano
La balda giovinezza....
Ma verrà il dì che i posteri
Vi chiameran capanne,
Ed al suolo
abbattendovi,
Come fragili canne,
Tesseranno una lirica
Sovra i
detriti immani....
Più caduchi edifizii
Innalzando il domani!
Tu sol, bigio fantasima,
Gotico tempio altero.
Tu, frastaglio di
guglie,
Tu, gigante severo,
Vedrai le metamorfosi
Dei giorni che
verranno,
Sogghignando alla gioja,
Sogghignando all'affanno!
Finchè il Tempo, il terribile
Tarlo che rode il mondo,
Verrà te pure
a spingere
Nell'abisso profondo;
E forse, fra un millennio,
Quivi
sostando un uomo,
Tenterà di far credere
Che tu esistevi, o
Duomo!....
Eugenio, sono effimeri,
Al par di queste stanze
D'ogni mortale i
gaudii
I pianti e le speranze;
Il passato è macerie
Su cui sorge il
presente,
E l'avvenire è il figlio
D'un vegliardo cadente.
Oh! umani eventi! oh! frivole
Parvenze d'un istante!
Perchè dunque
ci esagita
Questa febbre incessante?
Perchè dunque sussistono
Il
sepolcro e la culla?
Perchè mai tanto fremito
Se tutto attende il
Nulla?
Perchè?... Perchè lo struggere
E il crëar son la vita;
Perchè la noja è
l'unica
Larva da noi fuggita;
Perchè questa è l'armonica
Legge
dell'universo;
Perchè senz'essa il cérebro
Non mi darebbe un verso!
Milano, 2 ottobre 1875.
IN MORTE DI EMILIO PRAGA[1]
Egli visse sognando e sogna ancora
Chiuso per sempre in questa
negra bara;
Sogna il tripudio della nuova aurora
E il fior, che per il
maggio si prepara.
Quand'ei moveva per le nostre vie
Parlava sempre del supremo
giorno,
Ed un nembo di canti e d'armonie
Al grosso capo gli
aleggiava intorno.
E poi che il guardo umano invan s'attenta
Di legger della Morte nei
misteri,
Ei rafforzava la pupilla lenta,
Oppur tarpava il volo ai suoi
pensieri.
E, spaventato dal fatal problema,
Triste amatore d'un'estasi arcana,
Cantava a sè medesimo un pöema
Inebbrïando la sua forma umana!
Or, ditemi, fu in lui colpa o sventura
Questo dispregio dei nostri
costumi?
Dobbiamo noi su questa sepoltura
Rammentar la sua vita
o i suoi volumi?
È vero!.... È vero!.... Ei calpestò un affetto,
Che men compianta potea
far sua vita!....
È vero!.... È vero!.... Al domestico tetto
Per lui la
mensa fu di duol condita!....
Ma chi di noi, sovra il proprio cammino,
Non calpestò,
rimpiangendolo, un fiore?...
Nascer pöeta è orribile destino!
Il
cérebro talor soffoca il cuore!
Oh! guai nascer pöeta ove la Musa
Non trova il pane per nudrire i
figli!
Ove ogni sciocco delle labbra abusa
Per esser largo solo di
consigli!
Oh! guai nascer pöeta ove il sol splende
Ed infervora i cantici ispirati,
Ma dove l'uomo allori e culto rende
Soltanto ai pensatori
trapassati!
Costui vivrà da pochi consolato,
Fra il bivio orrendo d'essere un buon
padre,
O di spezzar la cetera indignato,
Per altre voluttà meno
leggiadre!
Costui vivrà la famiglia cantando,
La famiglia idëal,--cui dritto avea--
E ch'egli dovè perder lagrimando....
Chè, coi versi, nudrir non la
potea.
Noi, cui sorride l'italo orizzonte,
Siamo un popol di bimbi analfabeti!
Da qualche lustro appena alziam la fronte....
Siam troppo grami per
pagar pöeti!
Non turbi adunque questo popol gramo
Il sepolcro d'un povero
cantore....
Meditiam la sua vita e confessiamo
L'ignoranza d'un
secolo e l'errore!
Emilio! Emilio!... Son le tue parole
Ch'io ripeto commosso... e (lo
rammento)
Da te un giorno le udii che le vïole
Dicean l'april con
profumato accento.
E tu piangevi per le tue sventure,
Antiveggendo questo estremo
istante,
Senza sentirne le viete päure
E mentre il viso tuo parea
raggiante!
Poi soggiungesti sorridendo: "Amico,
"Quando mi porteranno al
cimitero
"Verrai tu pure, com'è l'uso antico,
"A far dei versi sul mio
drappo nero;
"Ma ti ricorda degli accenti miei,
"Ed agli astanti, quel dì, li ripeti....
"Se tu prima morissi, io li vorrei
"Ripetere fra i mille sepolcreti.
"E là, dove la Morte i ricchi accoglie
"E i poveri del par, tutti
eguagliando,
"Mi parria che dovrebber le tue spoglie
"Ascoltare i
miei versi giubilando!"
..............................
Quest'oggi, in cui la legge di Natura
Te primo, Emilio, al dì fatal
condusse,
D'ogni giogo servil la mente pura,
Pieno il cor delle mie
fedi inconcusse,
Io vengo a replicar su questa
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