Barconi dovettero farsi avanti e gridare un perdio!
che ricacciò i combattenti nelle regole delle cose pulite. Ammazzarsi è
nulla, ma lo si faccia con garbo, perdio! se non altro per rispetto ai
medici che assistono.
Non so se i due combattenti intendessero le nostre ragioni. I poveretti
avevano certi visi stravolti, certi occhi cattivi, certe bocche sguaiate,
che non parevano più uomini civili. Una ferita di poco conto toccò
ancora a Massimo fra la spalla destra e il collo: il Bassi ripetè il colpo
con una traversata. La sciabola nel tornare dal sangue me ne spruzzò
alcune goccie sullo sparato bianco della camicia. Anche il terreno era
segnato di spesse orme sanguigne, che andavano allargandosi, perchè
nella furia le due parti giravano, s'inseguivano, venivano a mezza lama,
rendendo il terreno, dove il sangue si mescolava alla polvere del
mattone, sempre più lubrico e sporco.
I padrini e i due dottori erano come affascinati da quel terribile giuoco
d'armi e lo stesso Barconi non potè che ammirare, come mi confessò
più tardi, una magnifica finta di Massimo, che pochi maestri, tanto
della scuola napoletana come della scuola francese, avrebbero saputo
eseguire con più eleganza. Il Barconi cercava allo schermitore
principalmente l'eleganza. La scherma è un'arte, come la danza, come
la musica, come la pittura: e il ferro bisogna saper adoperarlo come il
pittore adopera il pennello, come il musico adopera la bacchetta, con
grazia, con semplicità, con armonia. Peccato che sul terreno le parti non
sappiano sempre mantenere il contegno che si deve...! Ma i medici
dimostrano alla loro volta che lo stato patologico degli avversari ha una
certa influenza, per cui l'irritazione nervosa, disturbando le disposizioni
callisteniche dei soggetti, li porta ad inconscie ed atavistiche ferità
brutali.
Si continuava da un poco a combattere fuori di ogni legge callistenica,
quando risuonò sul pianerottolo un grido sinistro di donna e dietro al
grido una voce stridula, che contrastava accanitamente colla voce fessa
e turbata dell'oste; e poi si sentì un grande urto e un seguito di colpi
violenti nell'uscio con un diabolico scassinamento del catenaccio.
Massimo, che aveva il viso in fiamma, divenne smorto come un
cadavere, mi lanciò un'occhiata supplichevole e mi comandò:--Non
lasciare entrare quella donna.--Aveva riconosciuto la voce di sua
madre.
La povera donna, messa in sospetto dal contegno misterioso del figlio,
era discesa dal letto, aveva dalla finestra vedute le carrozze e siccome
non era la prima volta che Massimo partiva per queste spedizioni, si
vestì, corse, interrogò il portinaio che non seppe mentire, poi era salita
in una carrozza di piazza; ma aveva perduto del tempo nell'inseguirci
su qualche falso indizio. Finalmente colla furia e colla divinazione
d'una madre spaventata aveva scoperto il luogo. Scese di carrozza,
entrò come un fulmine nell'osteria e colla forza con cui soleva una volta
muovere un cesto di castagne, prese la mano d'Iside e parlando col solo
respiro, disse:--Menami dove l'ammazzano!--Iside fu quasi trascinata
da quella mano di ferro ai piedi della scaletta. Dal cortile si udivano i
colpi, i passi, i gridi dei combattenti. Dunque era salita, era piombata su
quell'uscio dove stava il sor Fabrizio in sentinella e cominciò di fuori
un altro duello. E certamente la donna colla forza che vien dalla
disperazione avrebbe finito col buttare il vecchio uscio in terra, se al
comando compassionevole di Massimo non fossi corso a mettere le
mani sulla maniglia del catenaccio e a puntellare l'uscio colla spalla.
--Cani, cani, cani!--gridava la donna dando terribili scosse al paletto.
--Non lasciarla entrare, Cesare.--Massimo mise tanto accoramento in
quel nome di Cesare, che non usava mai parlando con me, ch'io
compresi tutta la grandezza della preghiera. Egli non voleva esser vile,
nè sfigurare davanti agli amici, che potevano, chi sa? credere a una
segreta intesa della madre col figlio; non voleva comparire brutto,
osceno di sangue innanzi a lei.
Ma la donna era più forte di me. Cacciato via l'oste con un pugno
terribile nel petto, si era buttata sull'uscio col vigore della sua robusta
costituzione di popolana e con scosse forti da sfondare un muro non
che un assito tarlato, procurava di levarlo dai cardini, sempre gridando
con quella sua voce assassina:--Cani, cani, cani!--Dietro di me
inferociva la battaglia; ma non era certo meno feroce la battaglia ch'io
sostenevo contro quella donna pazza d'amore e di dolore.
Dovevo forse permettere che si cacciasse in mezzo alla carneficina?
Ho detto carneficina?--ho sbagliato. Tranne una volta o due, cosa di
piccola importanza, il duello era stato regolarissimo e il verbale è là a
disposizione di chi vuol vedere. Ma in quel momento non sapevo
nemmeno io in che mondo fossi. Massimo era caduto e si rotolava in
una pozza di sangue, vomitando sangue dalla bocca sull'ammattonato.
Sentii che sarei caduto anch'io come uno straccio, se non mi fossi
tenuto ben stretto al catenaccio e

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