Nuove | Page 8

Emilio de Marchi
un'ultima occhiata alle
sciabole, il Barconi battè le mani e gridò: in guardia!
Io non sono il Tasso e non starò quindi a descrivervi un duello. I due
avversari sapevano tenere una sciabola in mano, non mancavano di
coraggio, ma non erano così grandi maestri da insegnare a noi e tanto
meno al colonnello qualche cosa di nuovo. Costui, a giudicare dagli
occhi che faceva, dovette fremere subito nel suo cuore accademico di
maestro di scherma tanto della furia sfrenata e scorretta dell'onorevole
Dassi, quanto della pesantezza di mano di Massimo, che ai primi colpi
cominciò a sudare come un cavallo e a soffiare come un mantice. Era
stata scelta la sciabola senza guardia, buoni tutti i colpi, e il duello
doveva finire soltanto quando uno dei combattenti fosse
nell'impossibilità di continuare; ma i padrini erano d'accordo di non
lasciar andare le cose troppo in là e d'impedire una catastrofe con una
di quelle motivazioni che salvano capra e cavoli. Alla prima scalfitura
che fosse toccata a Massimo o al primo riposo, noi avremmo fatto
appello al cuore generoso dell'onorevole Dassi, che si contentava d'ogni
piccola vittoria. Si poteva contare anche un poco sulla svogliatezza
cinica del suo rivale, che quella mattina era più grigio del solito. Ma il
caso volle che la lentezza di Massimo irritasse il suo avversario, che si
vide impedito il primo bel colpo da un giuoco freddo e pesante.

A questo si aggiunse che il primo sfregio lungo qualche centimetro
andasse a cadere proprio sull'occhio del deputato, un dito sopra il ciglio,
in modo che il sangue, spruzzando come da un fontanile, gl'innondò la
faccia, rigandola come una maschera e togliendogli la vista. I padrini
arrestarono il duello.
Il Dassi cominciò a bestemmiare in dialetto romagnolo, non tanto per il
male quanto per il dispetto di non vincere subito. Ci vollero le belle e le
buone per indurlo a lasciarsi lavare il viso coll'acqua tiepida, e a
lasciarsi mettere un fiocco di bambagia sulla ferita e una fascia in giro.
Quel diavolo a quattro non capiva più la ragione e tanto meno la volle
intendere il colonnello, che nel suo primo aveva in giuoco la rinomanza
della sua scuola. Con una eloquenza fredda e rigida, precisa come un
logaritmo, il Barcone ci dimostrò che una conciliazione in queste
circostanze non aveva ragione d'essere, a meno che il signor Massimo
lasciasse mettere a verbale...
--Ma che verbale!--gridò Massimo inorgoglito un po' troppo della sua
fortuna; e si preparò ad attendere il secondo assalto.
Questo fu ripreso subito, prima ancora che i padrini fossero al loro
posto. Massimo, avendo riscaldato il ferro e sentendosi più rianimato
dall'esercizio, fece tre o quattro mosse stupende in cui brillò ancora una
volta il suo vigore giovanile e la vecchia foga del volontario.
Dassi ad ogni colpo gridava come un ossesso. Lo scontro si fece vivo,
ardente, bellissimo. Il deputato pagò subito il suo debito con una
puntata, che Massimo cercò di parare, ma il filo della sciabola,
scorrendo sul braccio, ne lacerò tutta la carne, producendo una ferita
superficiale, ma per la sua ampiezza molto sanguinolenta. Il sangue,
cadendo e dilatandosi nella stoffa della manica bianca di bucato, si
sparse in grandi macchie che fecero comparire il danno più grave che
non fosse. Bisognò fermarsi ancora.
I medici esaminarono la ferita e non trovarono che fosse tale da
impedire a un uomo come il signor Massimo la continuazione del
duello. Quindi la teologia cavalleresca stabilì che dopo cinque minuti di

riposo si ripigliasse il terzo assalto.
Io n'ero quasi stufo e mi ricordo d'aver detto qualche parola vivace,
forse senza senso, che fece sogghignare il colonnello, mentre i due
dottori con una pazienza da santi e con una abilità di suora infermiera
cercavano di togliere al ferito la camicia per poter lavare e dare un
punto alla lacerazione. Bisognò che tagliassero la pezza col bistori. Il
petto di Massimo, messo a nudo, uscì tutto a chiazze di sangue. Mentre
il dottore giovine dava in fretta in fretta quattro punti alla pelle, l'altro,
il barbone illustre, con una spugna passava sul corpo e andava via via
spremendo il sangue in una catinella.
Proprio davvero: due suore di carità non avrebbero potuto essere più
amorose di quei due buoni scienziati, che dedicavano la loro vita al
bene della sofferente umanità.
Dopo aver sogghignato, il colonnello mi indicò il foglio del processo
verbale, dichiarando che per conto suo si lavava le mani in quella
catinella. Ho ancora nelle orecchie la sua voce fredda, acuta; e capisco
che le cose si fanno o non si fanno.
Ritornati al terzo assalto, la stanchezza, l'irritazione, l'odio che esce dal
sangue, dettero al duello un carattere più brutale, voglio dire meno
artistico; non pareva più un duello, ma una partita a coltelli, tanto che i
padrini e lo stesso
Continue reading on your phone by scaning this QR Code

 / 51
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.