Nel sogno | Page 4

Neera
un brano a un fanciullino ignudo.
--Tutte queste follie stanno bene nelle vite dei santi--mormoravano i
figli dei farisei--perchè là in fondo nessuno ci pesca, e si può credere
benissimo che a quei tempi fossero necessarie; ma in un secolo di lumi,
proprio quando il clero è accusato di oscurantismo, dovremo permettere
simili puerilità?
Il decoro della chiesa, la inviolabilità dei dogmi, il carattere sacro di
sacerdote, la responsabilità di parroco, l'opportunità, il progresso, tutto
fu preso ad argomento, e tutto riuscì per togliere al prete la sua piccola
cura.
Egli se ne partì, un mattino d'inverno, recando nell'una mano il Vangelo,
nell'altra un paio di passeri, che gli erano caduti tramortiti ai piedi.
Lungo il sentiero dei noccioli che la brina aveva cristallizzato, qualche
contadino lo vide camminare col suo passo svelto, col volto sereno,
l'occhio rivolto al Cielo; ed una donna, che gli si era accostata per
baciargli la tonaca, lo udì mormorare in tuono sommesso fra la
preghiera e il canto: "Siate lodato e benedetto o Signore, in tutte le
azioni vostre. Voi sapete perchè la rondinella emigra, perchè la foglia
appassisce e cade, perchè il chicco della grandine percuote l'uva matura,
perché il bruco immondo sale sopra lo stelo della rosa e lo succhia.

Tutto ciò che Voi permettete, o mio Dio, ha la sua ragione nella essenza
stessa del vostro potere. Io vi saluto e vi ringrazio. Eccomi nelle vostre
mani."
* * *
Da quel giorno aveva abbandonato per sempre il consorzio degli
uomini.
Lassù, sulla montagna, in una piccola baita, vicino alla natura, che era
stata la sua amica in ogni tempo e quasi la madre sua, si ritrasse solo; e
la sua vita, che semplice era stata sempre, si raffinò ancor più in un
crescendo immateriale, in una contemplazione indefinita di tutto ciò
che era l'opera di Dio. Gli accadeva talvolta di non guardare nulla, nè il
cielo, nè i monti, nè i boschi, di non respirare nemmeno; ma, assorto in
un rapimento interno, ripetere tra sé: "Esisto!" con una tale estasi del
proprio mistero che mille mondi aperti al suo sguardo non gli
avrebbero potuto dare più intensa gioia.
E allora, sì, visse come egli aveva sognato, dividendo la vita degli astri,
del fiore, dell'ape, del vento, della fonte, del sasso; bevendo la rugiada
nel concavo delle foglie, coricandosi sotto le stelle, così riamato nel suo
amore per la natura che il freddo non lo toccava, nè lo molestava il sole,
e gli umidi prati non serbavano per lui nessun veleno.
Tutto ciò che era animale sembrava fondersi in quel contatto
ininterrotto di forze vegetali. La completa assenza dei suoi simili,
l'astensione dai cibi di carne e dalle bevande alcooliche, avevano
purificato in tal modo tutte le cellule del suo io che perfino il volto,
l'espressione, i movimenti erano quelli di un essere a parte, quasi un
anello gettato al di là dell'uomo, un tentativo sublime e pazzo di
congiungersi alla divinità incorporea.
Toccava allora la fine della gioventù, il momento disperato dei grandi
ardori e delle supreme battaglie, quando, nella pienezza delle sue forze,
la volontà dell'uomo domina sensi e pensiero.
Serrate le braccia sul petto a guisa di corazza, egli amava guardare dalle

più alte rupi il fondo della valle, dove una via biancheggiante fra i
castagni conduceva alla città. Il suo occhio acuto di montanaro gli
faceva scorgere tutti i particolari della discesa lungo la linea
serpeggiante del sentiero, e la sua fervida immaginazione, eccitata dalla
solitudine, lo riconduceva sulla scena del mondo, ricordandogli parole
e cose, fatti e persone, con una evidenza tale che egli aveva bisogno di
gettarsi indietro, di alzare la testa al suo cielo ed alle sue vette per
persuadersi che il passato era morto per sempre. Come si sentiva felice
allora!
* * *
Tutte le idealità si erano congiunte allo scopo unico della sua esistenza:
vivere in Dio. Non nato per il consorzio umano, aveva pure sostenuta la
sua parte d'uomo, aveva tese le braccia e l'anima verso i suoi simili; li
aveva amati, sorretti, confortati: aveva vissuto con loro accanto alle
loro miserie ed ai loro vizi; aveva pure frantumato il cuore per darne un
pezzetto a ciascuno; era stato volte a volte padre, fratello, maestro,
servo. Aveva il diritto di appartenersi tutto intero, di offrirsi anima e
corpo, sentimento ed azione, al suo eterno amore.
E come da quelle vette gli pioveva un senso di pace ineffabile, una
coscienza alta e serena della propria individualità! Poiché non aveva
chiesto nulla al mondo, doveva aspettarsi tutto da Dio. L'invisibile gli
apparteneva. Egli si sentiva re dell'ignoto, del susurro dei venti,
dell'ombra dei boschi, dello sfolgorìo delle stelle--re del mistero, a cui
le estasi profonde dell'anima non negavano alcuna delle loro voluttà,
per cui le leggi del creato, spogliandosi di ogni significato materiale,
ritornavano
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