Nel paese dei dollari | Page 6

Adolpho Rossi
meglio sbarazzarsi
di simili pazzi più presto che si può? I buoni yankees credono che non
valga la pena di mantenerli in un carcere o in un manicomio: sarebbero
denari spesi molto male.
--Oh! volete finirla con questi lugubri discorsi?--saltò su a dire in
inglese, perchè l'italiano lo parlava con imbarazzo, la signorina Mary,
sorella del mio amico, nata essa pure a New-York, una giovane
diciottenne molto colta e intelligente, che studiava nel _Normal
College_.--Se parlaste un po' invece del gran ballo in costume che darà
domani W. K. Vanderbilt, uno dei più famosi milionari newyorkesi,
nella sua residenza di Fifth Avenue, lo splendido palazzo la cui sola
costruzione costò cinque milioni di dollari?
--Io ho potuto procurarmi un biglietto--disse il fratello.--Venite anche
voi--continuò rivolgendosi a me--coll'invito che avrà ricevuto il vostro

giornale: così dopo domani sera avremo cose più allegre da raccontare
a mia sorella e ai miei genitori.
--Da parecchi giorni--seguitò la signorina Mary--non si parla d'altro. Si
dice che sarà una festa di cui non si è veduta mai l'uguale nella
metropoli; che il ballo storico dato a New-York qualche anno fa da
Augusto Belmont non reggerà al confronto con questo di Vanderbilt, il
quale servirà a dimostrare l'enorme progresso della società
nordamericana in fatto di buon gusto e di eleganza. Si citano le grosse
somme prodigate in fiori e si assicura che i milleduecentocinquanta
invitati vedranno splendori degni del conte di Montecristo e delle Mille
e una notte.
La signorina Mary m'aveva messo addosso una grande curiosità e la
sera appresso non mancai di recarmi alla gran festa con suo fratello.
Alle dieci e mezzo centinaia e centinaia di carrozze cominciavano ad
arrivare davanti alla reggia di Vanderbilt e ne uscivano dame e cavalieri
vestiti di ricchissimi costumi di tutte le epoche, dai colori smaglianti,
carichi di gioielli, di collane, d'anelli preziosissimi. Man mano che
giungevano, le coppie salivano il principesco scalone sovra il quale le
statue e i busti di pietra di Caen guardavano in basso con quella stupida
tranquillità che Mark Twain attribuiva alle mummie egiziane;
imboccavano i vasti corridoi illuminati da migliaia di candele di cera ed
entravano negli sfarzosi saloni.
Per la maggior parte degli invitati l'ingresso nel palazzo Vanderbilt
tutto decorato internamente in istile gotico medioevale e rénaissance
costituiva un vero avvenimento: a New-York sono ben rari gli interni
artisticamente lavorati. Era la prima volta che uno sfoggio reale di
ricchezza architettonica veniva gettato in faccia all'high-life della città.
Un artista avrebbe condannato la soverchia ornamentazione delle sale e
notato che se tutte indistintamente le pareti non fossero state dipinte a
quadri, l'insieme ci avrebbe guadagnato. Ma gli intervenuti non erano
tipi da preoccuparsi di ciò: per essi anzi la confusione degli stili e
l'eccesso degli ornamenti davano maggior pregio al palazzo; si
accorgevano di questo solo, che la ricchezza era buttata là a piene mani

e ne rimanevano sbalorditi.
E passando dall'esame delle sale a quello di loro stessi, gli invitati,
anzichè ai costumi, badavano prima di tutto ai milioni di dollari che
erano rappresentati al ballo,
--Vogliamo provare a fare il conto?--diceva uno in un
gruppo.--Cominciamo dal padrone di casa. W. K. Vanderbilt,
venticinque milioni di dollari; suo fratello più giovane, due; gli Astor,
duecento; Russel Sage, sessantacinque; Josè Navarro, dieci; Cyrus
Field, quindici; George Pulmann, venti; i Lorillard, quaranta; i Belmont,
quindici; D. O. Mills, dieci; la signora Stevens, otto; gli Iselin, la
famiglia Fish, Sidney Dillon e Henry Clews, dieci milioni di dollari per
ciascheduno; i Goelet, venticinque...
--Senza contare--aggiunse uno--i patrimoni da cinque milioni di dollari,
come quelli di Horace Porter, di Galloway, di J. B. Houston, di
Livingstone, dei Schermerhorn, e trascurando tutti quei gentlemen che
valgono quattro, tre, due, un milione di dollari.
--E pensare--osservò il mio amico--che quasi tutta questa gente lavora e
commercia sempre, e che nei loro negozi di Broadway domani
possiamo comperare due metri di tappeto o un'oncia di tabacco! Vedete
là quella signora alta, magra, col naso rosso? È una milionaria
anch'essa, che va in persona a esigere i fitti delle sue case e bestemmia
peggio di un facchino del porto.
Quella aristocrazia nord-americana non era che una congrega di
giuocatori di borsa, di speculatori, di mercanti arricchiti; ebbene, cosa
curiosa, la maggioranza dei costumi indossati rappresentava la nobiltà
storica europea: erano tutti re e regine, imperatori e imperatrici, principi,
duchi, conti e marchesi; Enrichi VIII e conti di Guisa; Franceschi I e
Marie Antoniette; cardinali Mazzarino e regine Elisabette; Marie di
Borgogna e Marie Stuarde; Luigi XV e Kings Lear; Don Carlos e Luigi
XII; Enrichi IV e Carli IX: pochissimi i vecchi Knickerbockers, cioè i
veri nobili americani, le famiglie blasonate d'Europa emigrate sulla
costa dell'Atlantico quando gli attuali Stati Uniti erano colonie inglesi.

In mezzo a quella strana ricerca della nobiltà del vecchio mondo una
circostanza mi colpì: Arthur,
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