dovuto
rimettersi al giudizio superficiale dei due medici che non parlano
l'italiano e che non capivano perciò quello che Cornetta diceva.
Ritornammo al carcere verso mezzanotte. Ci dissero che il condannato
aveva passata la serata abbastanza tranquillamente e che dormiva,
sicuro di essere liberato all'indomani.
Il villaggio era tranquillo e la notte stupenda.
* * *
La mattina dell'11 maggio, siccome si era annunziato che l'esecuzione
avrebbe avuto luogo di buon'ora, entrammo pochi minuti dopo le sei
nel cortile del carcere, dove s'erano già radunate quasi cento persone, le
quali facevano circolo intorno, alla forca.
Il boia, certo Stephen Marshall, un ometto grasso, prese una scala,
l'appoggiò al patibolo, salì, si mise a cavallo della trave orizzontale e
infilò nel buco la corda; una corda nuova, provvista di un anello di
ferro da una parte e assicurata dall'altra al contrappeso. Poi discese e ne
provò la solidità attaccandovisi, dondolandosi e sorridendo con
compiacenza.
Il cielo era nuvoloso; minacciava di piovere. Continuava a entrar gente,
e alle sette c'erano nel cortile quasi quattrocento persone, mentre la sera
innanzi lo sceriffo aveva detto che trattandosi di un pazzo come il
Cornetta, non avrebbe accordato più di cinquanta permessi.
Quella gente fumava, rideva e chiacchierava ad alta voce, tanto che
pareva di essere a un mercato, o in attesa di uno spettacolo di Barnum.
Uno dei presenti era già completamente ubbriaco di whiskey, traballava
e salutava lo sceriffo dicendogli: Helloo, Bill! E lo sceriffo gli stringeva
cordialmente la mano.
Mentre il cortile riempivasi di questo pubblico da circo equestre, il
Cornetta si alzava. Nella sua cella, invece degli abiti ordinari, trovò una
camicia di bucato con cravatta di seta nera e un abito nero completo.
Quando le guardie gli dissero che doveva indossare quei panni nuovi, la
sua faccia si rischiarò.
--Ah! ve lo dicevo io--esclamò--che oggi dovevo essere condotto alla
Court House e messo in libertà. Vedete, è il giudice che mi manda
questo magnifico vestito. Che bravo giudice: lo voglio baciare.
E si vestì adagio, con cura, assaporando tutto il piacere di mettersi dopo
tanto tempo degli abiti nuovi.
Appena giunsero il padre Giulio e più tardi il padre Edgerton, egli li
salutò e ripetè loro le stesse parole. Inutilmente il prete cattolico e il
ministro protestante, ciascheduno alla sua volta, tentarono di richiamare
in sè l'infelice e di fargli riflettere che quella era l'ultima sua ora; egli
sorrideva loro sul viso con aria di compassione e non mostrava altro
che l'impazienza di essere accompagnato davanti al giudice.
La sentenza di morte gli era stata letta alla vigilia, in italiano e in
inglese, senza che egli la comprendesse, cosicchè quella mattina lo
sceriffo e le guardie non avevano altro da annunziare al condannato che
l'ora dell'esecuzione; e lo fecero; ma il Cornetta protestò che mentivano
e dichiarò che li avrebbe fatti arrestare!
Allora lo lasciarono nella sua illusione e, visto che era quieto, gli
permisero di uscire dalla cella e di aspettare nel corridoio il momento
fatale.
Frattanto entrarono nel cortile il capitano Mangin con cinque policemen
che si disposero intorno alla forca, facendo fare un po' di largo: altri
nove policemen erano di guardia all'esterno della prigione. Il boia
salutava alcuni amici vicino alla forca. Da una tasca gli usciva un pezzo
del laccio destinato al Cornetta.
Pochi minuti prima delle sette e mezzo giunsero gli undici deputati
sceriffi della Contea e furono introdotti nel carcere. Allora il capo
sceriffo s'affacciò al cancello di ferro che dava sul cortile e chiamò il
boia e il suo assistente. Erano le sette e mezzo precise.
Il boia, il suo aiutante, il carceriere e altri due robusti sottocarcerieri si
avvicinarono a Cornetta nel corridoio interno della prigione e gli
dissero di star fermo, perchè gli dovevano legar le braccia.
Appena Cornetta vide le corde, diventò giallo in viso, stralunò gli occhi,
strinse i pugni, diede un urlo e minacciò chiunque gli si accostava. I
cinque uomini gli si gettarono simultaneamente addosso: due gli
afferrarono le braccia, due le gambe, e il quinto, il boia, s'accingeva a
legargli i gomiti insieme dietro la schiena; ma il condannato gridava, si
torceva come un serpente e tentava di mordere come un cane idrofobo.
Altri cinque uomini dovettero intervenire e Cornetta fu legato da dieci
persone.
Egli diceva con voce altissima e lamentevole:
--Ma che fate? Che fate? Sono democratico, io! Nessuno può condurmi
alla morte. Ah! lasciatemi...
Appena fu domo e legato, il boia trasse di tasca il laccio e glielo
accomodò intorno al collo, aggiustando il nodo scorsoio sotto un
orecchio: poi gli mise in capo il cappuccio nero, lasciandogli però
scoperto il viso.
Cornetta, livido, esausto, guardò, sentì, singhiozzò e gemette: nelle
confuse parole che gli uscivano dalla gola c'era insieme come il pianto
di un bambino, l'angoscia di uno che trema e ha paura, la
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