Duemila all'anno mi paiono pochi davvero!
--Bene, facciamo cifra tonda: duecento franchi al mese--disse il tutore mordendosi le labbra.--Del resto, come dico, in casa troverai tutto ciò che ti sarà veramente necessario.
--Basta così--disse Enrico che cominciava oltre al resto ad annoiarsi fieramente di quel dialogo.
--E di cavalli ne sono rimasti in stalla?--domandò egli dopo breve pausa.
--Oh, no--rispose il tutore--l'Elisa e mia moglie avrebbero ben voluto che li tenessi, ma io ho pensato che sarebbero rimasti in scuderia a mangiar fieno e biada a tradimento.
--Il poney almeno m'avresti fatto proprio un gran regalo a conservarmelo, caro zio!
--Ma sei un benedetto ragazzo--rispose il tutore--non capisci che il poney, come dici tu, è stato quello che mi ha compensato delle perdite che ho dovuto fare sulle quattro rozze da tiro.
--Lo credo bene!
--Ieri sono stato io stesso a vederne uno che par fatto apposta per te.
--Tu zio, sei stato a veder un cavallo per me?--disse Enrico ridendo.
--Sì, perchè?
--è bello?
--Sì, è bellino, ma quello che più importa si è che costa poco. Sono quasi certo di portarglielo via per un tozzo di pane.
--A chi di grazia?
--Ad un mio amico, che è uno dei primi sensali di zucchero e di cacao di Milano. E nota che è a doppio uso.
--Chi, il sensale?
--No, il cavallo. Egli lo monta e lo attacca alla carrettella.
--Mi pare che sarà un po' difficile che lo possa montar io.
--Ma perchè? Il mio amico lo montava tutti i dopo pranzo sul bastione, e bisognava vedere che brio. Adesso, povero diavolo, deve come aver sofferto delle disgrazie nel cacao, e gli tocca di vendere il cavallo per pagare i debiti.
--Ma è impossibile!
--Si può sapere il perchè?
--Caro zio, un cavallo che costa un tozzo di pane o è una gran rozza di figura, oppure è tanto vizioso, che mi farà rompere l'osso del collo in meno di quella.
--Tutt'altro invece. Vedi come sbagli--sclamò il tutore credendo aver trovata una gran ragione in contrario.--Quel mio amico non si è mai rotto l'osso del collo, quantunque siano già diciotto o vent'anni che lo monta.
Enrico scoppiò in una grande risata. Il tutore capì d'aver detta senz'accorgersi una minchioneria.
--Venti, e tre di puledro, ventitre per lo meno. Tu dunque zio vorresti darmi il cavallo dell'Apocalisse? Sarebbe più vecchio di me. Se lo montassi mancherei di rispetto al Luogo Pio Trivulzio!
--Bene, bene insomma, al cavallo ci penseremo più tardi,--disse don Ignazio levandosi--Oggi siamo intesi; aspettami qui che ti porterò la prima quindicina dei minuti piaceri.
--Cento franchi?
--Cento franchi.
--Basta! Io penso poi che se non mi basteranno tu zio non vorrai mostrarti crudele verso di me.
--Crudele no, mio caro Enrico, ma neppur troppo corrente. Ricordati che c'è un limite a tutto e che il mio dovere di tutore e di esecutore testamentario è quello, non solo di conservarti intatta la sostanza, che tuo padre morendo ha affidata alle mie cure, ma anche di aumentarla; perchè devi pensare che, per uscire dalla minorità fissata da tuo padre nel testamento, ti mancano ancora quasi quattro anni.
Con tale considerazione era terminato fra tutore e pupillo questo memorabile dialogo, il quale doveva essere, per così dire, la pietra fondamentale d'un edificio destinato a crollare e a cadere a terra in meno appunto di quattro anni.
* * * * *
Enrico O'Stiary s'era dato a fantasticare anche lui sul proprio avvenire, e, cosa non molto strana nella sua posizione, s'era sentito invaso, insieme a un certo desiderio di gloria artistica, giacchè egli adorava, la pittura, da una grande voglia di spendere, di brillare, di far la bella vita. L'avvenire? L'avvenire, pensava lui, come quello della maggior parte dei mortali, che non hanno una meta fissa e sicura o che non possedono la forza d'animo che serve a raggiungerla, è in balìa della fortuna; poteva dipendere dalla prima donna che avesse incontrata sul suo cammino, dalla prima amicizia che avesse stretta al club, dal primo avvenimento che gli fosse capitato sulle spalle.
Il tutore dal canto suo non aveva già fatto, senza saperlo, il primo passo per riuscire alla di lui più deplorabile rovina finanziaria?
Negandogli i mezzi di vivere dignitosamente nella società del suo rango, obbligandolo a far sicuramente dei debiti, fissandogli nella sua gretta ignoranza del mondo, i duecento franchi al mese, non gli apriva forse dal bel principio la strada al disastro?
Qualche volta c'è da pensare volentieri che i Turchi non abbiano così gran torto di credere nel destino! La nostra sorte, la nostra felicità, la nostra vita pur anche, non è forse continuamente in balìa del caso? Se il tal dei tali fosse uscito dalla sua porta il tal giorno, del tale anno, soltanto cinque minuti più tardi, avrebbe forse incontrata alla svolta della via quella straniera, che lo colpì di botto, che si fermò a Milano per lui, ch'egli amò come un pazzo, che lo rovinò miseramente e che lo spinse al suicidio? Se quell'altro tal dei tali,
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