Mia, by Memini
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Title: Mia Romanzo
Author: Memini
Release Date: November 1, 2005 [EBook #16980]
Language: Italian
Character set encoding: ISO-8859-1
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Mia
ROMANZO DI MEMINI
MEMINI
MIA
ROMANZO
MILANO
GIUSEPPE GALLI, LIBRAJO-EDITORE Galleria Vitt. Em. 17 e 80.
1884
Proprietà letteraria
Tip. L.F. Cogliati
I.
Di provincia, questo sì, ma una casa colossale e delle ricchezze degne
della storica nobiltà del nome; una casa come ce ne son poche ormai,
mercè la sacra e rovinosa giustizia, cui dobbiamo l'abolizione dei
privilegi di primogenitura.
E (incredibile ma vero) l'attuale capo della casa, Sua Eccellenza il
signor Principe d'Astianello, un bell'uomo sui quarantacinque anni,
vedovo, con una sola bambina, non voleva saperne di rimaritarsi.
Non già che gli fossero mancati suggerimenti in proposito. Amici,
parenti, chi aveva diritto a dar parere e chi non l'aveva, tutti battevan
quella solfa. Gli parlavano continuamente di visetti adorabili, di doti
cospicue, di educazioni finitissime, di alleanze sovrane. Egli non diceva
di no, non sfuggiva la visuale dei visetti adorabili, non sprezzava le doti
cospicue, lodava le finite educazioni, onorava le quintessenze di sangue
bleu... ma, ecco qua: non sposava!
E però egli era severamente giudicato da un venerabile sinodo di nonne,
di mamme e di zie, cui teneva bordone un coro, più timido ma non
meno malcontento, d'interessanti vedovelle. Egli non parlava mai della
defunta Duchessa; non pareva, nè era infelice. Era quasi sempre
gioviale e di buon umore. Non era per nulla un santo padre del deserto,
godeva largamente e pacificamente dell'esistenza. Non s'occupava di
politica, ma se se ne fosse occupato sarebbe stato un conservatore
feroce e un implacabile codino. Lo era bensì per conto proprio ed in
casa sua, dove serbava gelosamente inalterate le costumanze e le
tradizioni della famiglia.
In casa d'Astianello c'eran sempre state le razze di cavalli; orbene, egli
continuava quell'abitudine, le razze ci sarebbero sempre, per l'appunto.
L'estesa dei pascoli era immensa e colà nitrivano e sgambettavano i
puledri delle cavalle ch'egli aveva ereditate puledre dal padre suo. Le
razze di casa d'Astianello erano antiche e pregiate e costituivano una
questione di dare ed avere non indifferente nonchè una delle più
apprezzate vanaglorie della famiglia. Il Principe, a dirla qui fra noi, non
se ne intendeva più che tanto, ma altri della casa se ne intendeva per lui
e qualchevolta i suoi cavalli, buscavano il premio alle esposizioni
ippiche. E allora che baldoria nella tenuta!
Il Principe amava parlare dei suoi cavalli. Specialmente quando
qualche imprudente e zelante amico tentava intavolare, anche alla
lontana, quel benedetto argomento del matrimonio. Allora sì che
entrava in campo la scienza ippica. Il Principe prendeva a sfoderare le
sue cognizioni in fatto d'allevamento. Apriti cielo.... S'intende piova,
ma non tempesta. Ed era invece tempesta, ma così fatta, a chicchi così
grossi, così innumerevoli che il povero interlocutore seccato a morte,
stordito, assordato, non vedeva l'ora di battersela e alla prima
interruzione, se la batteva senz'altro. Il Principe rideva e continuava... a
non sposare.
Da qualche anno in qua il nerbo degli amici cospiratori aveva mutato
sistema. Avevano detto: lasciamo fare al tempo. Ma il tempo passava
senza recare sulle sue decrepite ali una seconda principessa
d'Astianello.
Eppure il Principe aveva, a modo suo, amata moltissimo la sua povera
moglie. E forse appunto per questo egli era ora così fedele alla memoria
di lei e alla propria libertà.
Oltre a queste due sante cose, il Principe amava molto la sua bambina e
il pensiero di darle una matrigna gli tornava odioso. Non già che
vivesse molto con lei o che attendesse egli stesso alla sua educazione.
Ma gli era caro veder bazzicare per l'ampio dei grandi saloni quel
nonnulla di bambina, quella cosuccia bianca, delicata, soave, che non
voleva saperne di crescere, che nello studio non faceva grandi progressi
e non era nè impertinente nè spiritosa, ma che veniva su adagino,
lentamente come uno dei fiorellini esotici della serra e che voleva tanto
bene a lui. Gli era caro, quando saliva a cassetta per condurre il tiro a
quattro, veder la ragazzina andare in estasi e contemplarlo rapita, come
avrebbe contemplato un re, seduto in trono. Una sola cosa gli
dispiaceva; che la sua Camilla (Milla per amore di brevità) fosse così
timida e paurosa. E il bello è che essa non diceva
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