su lei e:--A che pensi? le disse.
--Penso a voi, mio signore, ed a me stessa, rispose la giovinetta; penso che non sarà mai ch'io mi disgiunga da voi oggi; penso ch'io vi seguirò dovunque sarete per andare, o signore.
--Taci, Gliceria, e non turbarmi l'anima con preghiere che non mi è concesso d'esaudire; finchè rimarrò in castello, a nessuna di voi più non si conviene lo stare con me... l'ho detto, e non può essere altrimenti.
La giovinetta, a tali accenti, chinò il capo e stette per qualche tempo senza parlare... ma poco dopo rialzando lentamente la testa e volgendo un mestissimo sguardo intorno:
--Addio dunque, sclamò con accento particolare pieno d'entusiasmo insieme e di dolore profondo, addio, stanza gradita: noi ti abbiamo a lasciare, il cuore mi dice, per sempre... noi non ci troveremo più qui... il mio signore non mi vuol più con sè, il mio signore mi ha rifiutato, i momenti della nostra gioia sono finiti....
Queste parole, come un soffio di vento gelato, che gli rasciugassero il calido madore della fronte, a poco a poco fermarono l'ebbra vertigine ch'era nella mente del duca; a produrre codesto effetto però avea concorso un'altra causa, senza cui le parole stesse sarebber cadute inavvertite.
è una legge fisica costante, che le bevande, dopo aver generato in chi ne abusa una vivezza, un'alacrità straordinaria di spiriti, producono poi una tale prostrazione di forze, un abbattimento così completo, che l'esistenza, di cui poco prima si avevano le più dolci sensazioni, ci si fa un tratto pesante, odiosa, insopportabile.
E un tale fenomeno, in quel momento, cominciava appunto a prodursi nel giovane duca. Il forte liquore tanto abusato, dopo averlo esaltato al massimo dell'alacrità, cominciava a lasciar in lui come un deposito di amarezza, una melanconia tetra ed inesplicabile, un malessere in tutta la persona che gli vestiva di tristezza tutte le cose che gli stavano intorno.
Se non che in una tale occasione, quel repentino malessere venne accresciuto dalle altre cagioni, le quali ancor più fieramente influirono per essere le stesse sue forze fisiche già tanto infiacchite.
Le parole della fanciulla, l'oscurità successa alla splendida luce del dì, che lo avvisavano ch'era vicina l'ora di ritirarsi in castello e di abbandonare le delizie del palazzo ducale, l'intricata condizione delle cose sue, l'incertezza degli eventi, i pericoli inevitabili... tutte queste cose lo assalirono allora di tanta forza, che assaporò tutto quell'amaro che pur troppo esubera nell'umana vita.
E ad accrescerlo dopo alcuni istanti s'udì lo squillo di una campana, squillo atteso da lui con tremore e sgomento. Era quello il segno con cui veniva chiamato il duca a recarsi nella gran sala di palazzo dove tutto il suo seguito stava raccolto per ritirarsi con lui in castello. Essendo assolutamente vietato di recarsi in quella sua sala, quand'egli si trovava colle sue donne, con quel segnale veniva chiamato ogni qual volta fosse bisogno della sua presenza. E a quello infatti il duca si alzò.... Era diventato più pallido la metà del solito.... Il tremito dei nervi che il liquore medesimo aveva prodotto in lui, in quel momento gli si accrebbe tanto, che parve non gli bastassero le forze di reggersi in piedi, ma a sostenerlo gli si serrarono intorno le sue fanciulle con abbracciamenti e con lagrime.... La commozione in lui, forse per un certo presentimento che l'avvisava che non sarebbe tornato mai più in quel luogo, era giunta al massimo punto, e non udendosi nella sala altro che i pianti di quelle fanciulle, ai quali s'intrecciavano i singulti delle palombelle che svolazzavano sulle palme e sugli aceri, anch'esso fu assalito da un angore insopportabile e da un empito di singhiozzi che finalmente scoppiò; e come se fosse un fanciullo diede in lagrime dirottissime e pianse lungamente....
Davvero che quella vista era indegna, quella mollezza eccessiva, que' propositi, que' pianti vituperosi... tuttavia, allorquando un uomo è infelice ed è alle prese col massimo affanno, egli è sempre degno di pietà e non ci può essere ragione che la vieti, neppure la colpa, se fosse concesso il dirlo....
Stato così qualche tempo, si staccò finalmente dalle sue donne ed uscì.
In un'altra sala del palazzo ducale stavano intanto ad attenderlo coloro che lo avevano ad accompagnare in castello. Tra una folla di paggi, di camarlinghi e di labarde svizzere, passeggiavano molti distinti personaggi. Un uomo di forse quarant'anni, di statura e corporatura mediocri attendeva a discorrere col duca di Bari, fratello di Massimiliano....
Era colui il celebre Gerolamo Morone, il quale avendo deposta su d'una tavola la sua berretta di velluto nero riccio, mostrava una cappellatura bionda-rossigna, un po' crespa che gli scendeva oltre l'orecchio. L'ossatura del viso era notabilmente minuta, e solo la fronte appariva alta ed ampia più di quanto il comportasse una giusta proporzione. Le pupille di un castagno assai chiaro giravano con gran rapidità sotto le palpebre, che abitualmente teneva semichiuse quasi a rendere
Continue reading on your phone by scaning this QR Code
Tip: The current page has been bookmarked automatically. If you wish to continue reading later, just open the
Dertz Homepage, and click on the 'continue reading' link at the bottom of the page.