è semplice sollievo.
Questa morbosa tendenza, (che, non so se debbasi chiamar colpa); essendo al tutto contraria alla destinazione dell'uomo, in qualunque condizione esso si trovi, non può che condurre a rovina; però avviene spesso che coloro i quali dei piaceri s'eran fatti un'assoluta necessità, vengano a trovarsi in così terribili situazioni, e a provare tali miserie quali non toccano al comune degli uomini. Allorchè poi la caduta è imminente, s'attaccano costoro, con uno sforzo che dà la disperazione, ai piaceri che fuggono, procurando di renderne tanto più acuta l'ebbrezza, quanto più si avvicina l'istante dell'affanno.
A questa classe d'uomini per la sua e per l'altrui disgrazia, apparteneva appunto il giovine duca Massimiliano.
Portato dagli eventi a ricuperare il ducato di Milano del quale suo padre era stato spodestato, la natura lo aveva così destituito delle qualità indispensabili a chi è posto a governare uno stato, ch'egli credette fosse per lui occasione di continuo tripudio, quel che invece doveva essere oggetto di una laboriosa ed assidua cura. Più scolorato e più floscio assai di Galeazzo Maria, parve tenesse alcun poco dell'indole di quel tristo. In lui per altro la mollezza invadeva anche la parte che nell'altro era stata occupata dalla crudeltà, e fu solo a tratti e a sbalzi che anch'egli ne mostrò qualche fioco barlume, il quale per fortuna, non ebbe mai un effetto. In conclusione, una leggiera sfumatura di pazzia pareva avvolgesse tutte le qualità intellettuali e morali di questo giovane, per cui piuttosto che maledire le sue colpe, ci rimane a rimpiangere la fatalità che volle affidare ad una mano morbida e tremolante ciò che aveva bisogno di un braccio di ferro.
Del resto non si ha a credere che questo giovane duca, nel momento in cui lo abbiamo sorpreso nella segreta sua sala, ignorasse in che dura condizione egli si trovasse. Il Morone lo teneva assai bene informato di tutto, ma ciò che per altri sarebbe stato causa di uno sgomento continuato, in lui non generava che momentanee tristezze e prostrazioni d'animo talvolta eccessive, ch'egli procurava tosto di rintuzzare e affogare nei gaudii e nell'ebbrezza.
Le sue idee, nel momento in cui stava bevendo quest'ultima goccia di spiritoso liquore, esaltate, mosse rapidamente, intrecciandosi e confondendosi insieme, assumendo mille colori, costituivano un così intricato complesso da non potersi facilmente a parole tradurre.
Tuttavia, a seconda che il pensiero della sua condizione, o il coraggio artefatto che la forza del liquore metteva in lui, o la vista delle cose da cui era circondato generava nella sua mente qualche nuova idea; in quell'istante parlava tra sè, presso a poco, di questa maniera: ".... Oh venga la tetra calamità, se così piace ai duri destini, ma intanto ch'ella più mi si avvicina, più io mi stringerò a voi, soavissime illusioni della vita... Finchè i fervidi estri inonderanno di viva delizia i miei sensi, io non vorrò già atterrirmi nello scroscio dei naufragio... Qui mi hanno condotto i miei destini, senza ch'io pure lo bramassi nemmeno, di qui mi partirò tranquillo quand'essi suoneranno a ritratta.... Le atroci gioje della conquista e della vittoria, non voglio che rallegrino mai nessun giorno della mia vita... Ben sento che ai miei piedi brulica un innumerevole sciame di popolo, e a me si rivolge nella bisogna tremenda... Volgiti altrove, volgiti a te stesso; io non posso nulla per te.... Fintanto che l'onnipotente ricchezza mi cresceva tra le Mani, ognuno potrà dire quant'io ne fossi liberale con tutti; come ad una ad una mi scastonassi le gemme della mia corona, per donarle a coloro che più mi stavano d'appresso... Volgiti altrove, o mio popolo, volgiti a te stesso, volgiti alla provvidenza che tutto può... e ti allontana una volta, che le tue grida fanno strazio del mio cuore e troppo infastidiscono le facoltà mie infervorate di solo amore...
"Oh vi stringete d'intorno a me, soavi fanciulle, ch'io senti più d'appresso le divine armonie della vostra bellezza, e i cari abbracci promovano in me il trepido senso dell'estrema voluttà.... Oh venite e frapponetevi tra me e il mondo, così ch'io non veda e non senta più nulla della sua vorticosa incessante faccenda...."
In simili pensieri, e via rapito da una muta contemplazione, trascorse qualche tempo in mezzo alle sue fanciulle che gli si eran strette intorno. Gli ultimi raggi del sole intanto s'eran del tutto ritratti dalla vetriera che copriva la sala, e la pallida luce crepuscolare, attraversando i vetri, a fatica vestiva di un color cupo e misterioso tutti gli oggetti che stavan d'intorno al duca.
In quelle fanciulle una ve n'era d'una straordinaria bellezza che pareva esser cara al giovane duca più che le altre tutte, e più che le altre essergli ella medesima affezionata. Questa essendosi da qualche tempo avvicinata a lui, con una tristezza eloquente nel medesimo silenzio, pareva attendesse che il duca le volgesse qualche parola.
Questo infatti posò finalmente uno sguardo
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