Lucifero | Page 9

Mario Rapisardi
Riconobbe la santa esule, e incontro, Sorridendo e tremando e con aperte Braccia le córse. Una parola ardita Quinci udiron le serve itale menti; Impallidì l'orrida Sfinge; il duro Giogo fu scosso; e da quell'aureo giorno La casetta del sofo ara divenne. Qual da le dilicate ántere aperte Manda l'amante fiore al fior lontano Il pòlline fecondo, e messaggero Del casto bacio è il zeffiro d'aprile: Tale il novo pensier, creduto a un novo Magistero di cifre, inclite imprese Maturò fra le ardenti anime; e il vanto Fu tuo per vero, o egregia arte, per cui Da metallici tipi impresso, e in mille Guise prodotto, agil discorre e vola Il mortale pensier, visibil fatto. Possa tu sei, che ogni confine, opposto Fra gente e gente, indomita conquidi; Fulmine sei, che la funesta e scura Tirannia de l'error sfolgori e sperdi; Luce sei tu, per che dovunque e in tutte L'alme il sorriso d'ogni ver si svela, Tu, nel commercio de l'idee, le sparse Genti accomuni; in facile amistanza Leghi i vivi agli estinti, e in guisa annodi L'uno a l'altro pensier, l'ieri al domani, Che la specie de l'uom, devota a morte, Un sol gigante ed immortal diviene. Ma qual de l'onda avvien, che d'uno in altro Vase versata, altra figura assume, Così, da la contesa alpe ad estranei Climi varcando il pensier novo, in nova Forma e in campo diverso e con altr'armi Contro a un cieco poter sorse, e proruppe. Trafficata, qual vil merce, passava Da un giogo a l'altro la saturnia terra; E i suoi figli rideano. Un rubicondo Pastore e re, che di Leone il nome, Ma l'alma avea d'un animal di Circe, Banchettava su l'are, e il ciel vendea. Venne un giorno d'oltralpe un battagliero Frate sul Tebro. Gli bollía nel petto Il sassonico sangue, e calda al pari Del suo sangue la fede.--Oh! ch'io nel vivo Fonte, dicea, de l'evangel di Cristo Quest'anima disseti!--Io, ch'era presso, Per man lo presi, e lo condussi in loco Ove il sir de l'umane alme gioíva Fra una ciurma di servi, a cui sul crine Sedea per celia un ramoscel d'alloro, Una burla su'l labbro, e sol ne l'epa La libertà. Del buon Leone intorno Tripud?ando oscenamente ignude Ivan muse e madonne; ed ei, nuotante Come in un mar di placida qu?ete, Sonnecchiava e ridea, mentre, seduta Sui suoi ginocchi, con la man lasciva Stazzonando il venía lubricamente Del Bibbiena una putta, ed esso il Cristo, In abito or di scalco, or di poeta, Compartía, strambottando in buon latino, Cibi a le pance e a l'anime indulgenze. Su la spalla battei de lo stupíto Solitario, e gli dissi: Ecco il vangelo! Arse in cor d'ira e di vergogna in volto Il generoso, e a le natíe contrade Disdegnando volò. Folti a' suo' fianchi Si stringeano i fedeli al suo ritorno, Dimandando di lui, che il ciel dispensa; Ed ei tuonò:--Colui, che il ciel dispensa, L'are insozza, il ciel vende, e Dio svergogna!-- Disse, e dal petto fremebondo il sacro Abito svelse, e si lanciò nel mondo Come guerrier contro a nemico armato. Ulular contro a lui, contro al pensiero, Contro a la vita, contro al ciel, gl'ingordi Lupi di Trento; sibilar gli obliqui Rettili del Loiola, e dentro ai petti S'insinüando, avvinghiar l'alme; un freddo Lento velen vi sparsero, sperando Che sepolta nel sonno, o nel terrore, L'umana volontà tutta si spenga. Fu un sepolcro la terra. Un'ara e un trono Soli sovr'esso; e tutto occhi e sospetti Sovra entrambi il Loiola: Iddio discese Umilmente dal cielo; e, perchè alcuna De le pecore sue non si smarrisse, Al comando di lui prese il coltello, E con celest?al garbo l'immerse Ne la gola di mille. Un mar di sangue Coprì la terra; il divo manigoldo Tornò al ciel, carezzò l'insanguinata Barba, e pago dal suo trono sorrise Come al settimo giorno. Io nel fumante Sangue mi astersi, e fulminai la voce. Pugnar vivi ed estinti, e nuova intorno Pullulò da la strage onda di vita. Gemina possa, è libertà: risveglia Le menti in pria, poi discatena i polsi. Uom, che servo ha il pensier, la destra ha inerme; Spada non ha chi i suoi diritti ignora. Ricca d'affanni e d'ogni mal contesta Egli è certo la vita; e pur qual turpe Cosa è nel mondo, che al servir s'agguagli? E qual di tutte è servitù più infesta Che servir, non volente, al ferreo cenno D'assoluto signor? Popol che geme Fra' ceppi, e sente del suo mal vergogna, Per metà è schiavo, e qual gode e s'oblía Schiavo è due volte, e d'ogni ingiuria è degno. Dinanzi a re, che il suo piacer fa legge, E a nessun mai de l'opre sue risponde, Leggi non son, nè cittadini: ai sommi Gradi i pessimi esalta; il buon deprime; L'altrui sostanze impunemente
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