Lolmo e ledera | Page 8

Anton Giulio Barrili
falsa di

questa, sebbene tutti l'adoperiamo sovente. Quella apparenza estrinseca
che ha giovato a rendere accetto il paragone, anche qui è fallace come
in altre cose moltissime. Sta bene che una di cosiffatte regine da salotto
e da teatro dia l'immagine del sole, e i suoi adoratori appariscano
altrettanti pianeti, i quali fanno la loro brava rivoluzione intorno a lei,
sempre attratti nella sua orbita e tenuti in riga del pari. Ma guardate per
bene oltre la scorza dell'apparenza e vedrete che il paragone non corre
più. Il sole attira i pianeti, dà loro la luce e il calore, fa germogliare le
piante, produce la temperatura, che è condizione di vita ad ogni
organismo, fa godere, amare, vivere insomma. Che fa, in quella vece,
una delle donne di cui si ragiona? Dà luce, calore e vita ai suoi pianeti?
No certo; ella non spande nè luce, nè calore, nè vita; tutto riceve da essi,
e non rende mai nulla. Gli adoratori sono altrettanti fuochi che l'hanno
tolta per centro, che la irradiano, la riscaldano, o tentano riscaldarla.
Tentano, notate bene, tentano! Invero quella levigata superficie si
riscalda un tratto; la prima crosta, l'epidermide, sente il frizzare di
quelle lingue fiammanti; ma il centro, il nocciolo dell'astro maggiore, è
un gelo eterno, e ogni alito infocato che giunge fin là, si converte in
ghiacciuolo. Quei pianeti che danzano intorno a lei, come le
mitologiche Ore intorno al Tempo, le dicono che essa è bella, che è
adorata, che il suo regno è felice; raggiano verso di lei con tutta la
potenza della gioventù e della passione; essa non riverbera nulla, è un
corpo opaco, e le rare fosforescenze che a volte ella sprigiona,
simulando la luce e il calore, non giungono neppure ai poveri pianeti; le
gode qualche cometa, che viene turbinosa dalle profondità dello spazio
a descrivere la sua curva violenta vicino a lei, per dileguarsi da capo.
Ad una di cotai donne aveva dato il mio Guido le primizie de' suoi
affetti soavi. Novellino agli inganni, aveva fatto la sua scuola, e
bisogna soggiungere, ad onor suo, che mai scuola tornò più profittevole
di quella. Egli è dato cadere in trappola così agli accorti, come agli
sciocchi; senonchè gli sciocchi vi rimangono, e gli accorti se ne cavano
fuori. Ora, Laurenti, quantunque non senza difficoltà, nè senza danno,
se n'era cavato; aveva patito, ma alla guisa delle anime forti, e non lo
avea fatto scorgere. Il futuro entomologo aveva (condonatemi la frase)
dato di piglio al suo cuore infermo; lo aveva aperto, arrovesciato e
strizzato, per ispremerne fin l'ultima goccia d'umor guasto; poi,

rasciutto, lo aveva rimesso a posto e s'era dato anima e corpo allo
studio, gran rimedio alle anime affannate.
Ecco perchè non c'era nulla nel cuore del giovine naturalista; ecco
perchè non c'era un'immagine di donna negli arcani penetrali della sua
vita operosa.
Santa quiete dell'anima! Come il filosofo di Orazio, ma non disutile, nè
paganamente beato come lui, Guido Laurenti se ne stava nella sua
solitudine, monaco di un ordine nuovo, senza un espresso voto di
verginità, e senza desiderio di infrangerlo. I nobili cuori hanno di
cosiffatte calme, come i grandi mari; e stanno allora, le vele penzoloni,
aspettando le etèsie.
Ma un giorno (allorquando si racconta, e' bisogna sempre giungerci, a
questo benedetto ma e a questo benedetto giorno), egli avvenne che
Guido Laurenti facesse una piccola variante nelle sue consuetudini
giornaliere. Egli soleva dedicare la mattina al suo uffizio di giardiniere,
e il pomeriggio alla passeggiata; ma quel giorno, dopo il desinare, per
non so quale ragione, si trattenne in casa, e in cambio di andare alla sua
solita gita, scese in giardino e andò a sedersi con un libro tra le mani, a
quel posto dove era uso sedersi la mattina, dopo avere inaffiato i suoi
fiori.
Qui cade in acconcio uno scampolo di descrizione. Il giardino di
Laurenti era una lista di terreno, che correva per forse cinquanta metri
lunghesso la collina, e dal lato della scesa era sostenuto da uno spesso
muraglione, del quale ogni acquaio, ogni screpolatura, alloggiava un
cespo di semprevivi, di capperi o d'altre pianticelle di facile
contentatura. A' piedi del muraglione si dilungava comodamente una
conserva di piante esotiche, ultimo lembo di un vasto giardino, anzi di
una villa signorile, che andava a far capo ad una palazzina gialla, il cui
piano superiore e il tetto rilevato a quattro acque, col suo parafulmine
in cima, si vedevano sbucare da una selva di magnolie e di allori.
Intorno a quella palazzina era il vero giardino, con ogni maniera di fiori;
e tra il giardino e il muraglione saliva dolcemente una larga prateria,
qua e là seminata di fiori disposti a canestri, di salci, larici pigmei, e
tutta corsa da stradicciuole sabbiose che serpeggiavano per ogni verso,

fino alla conserva
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