Lo assedio di Roma | Page 5

Francesco Domenico Guerrazzi
Governo libero e degno di
popolo libero si difenda aperto, franco, ed ardito, e cacci da sè lontano i
sicarii; perchè, che cosa mai altro sono gli scrittori comprati se non
sicarii della penna? Si, sicari della penna.
E questo fu detto, e lo andremo ripetendo, finchè la esecrazione
pubblica non gli abbia presi a sassi: ella è la morte dei lupi affamati;
tornate, o paltonieri, ai solchi aviti, che vi piangono lontani, tornate
magari nel ghetto a vendere ciarpe, scorticate clienti, uccidete infermi,

tuffatevi rospi nel sembiante, e più nell'anima nei fanghi del Sebeto e
della Dora; tutto men peggio, che vedere caduta la Patria tra gli artigli
di questi sciagurati adoratori della nuova Trinità d'ignoranza, di
prosunzione, e di viltà, ch'essi hanno inventato per uso loro e dei loro
divoti. Intantochè la stampa, pari all'asta di Achille, non abbia curate le
ferite che ha fatto, sopportiamola come si sopporta il fumo che precede
la fiamma, letizia degli occhi e ricriamento delle membra assiderate.
Poichè questa nostra resurrezione, mercè la setta stupida ed iniqua, che
sì argomenta, assai si rassomiglia ad un campo-santo, e poichè l'alba
con tanta ansietà aspettata si manifesta col raddoppiare del buio, mi
proverò io a compire il debito della nuova generazione: nelle notti di
estate, quando l'oscurità afosa ingombra fitta la terra, anco la lucciola
pare una stella.
Una volta io possedeva una cosa buona, e la gioventù un'altra, cento
cotanti migliore; io aveva il braccio forte, la gioventù un petto pari
all'antico ancile[1] lo scudo venuto dal cielo, onde allorchè io ci
battevo sopra, quel cuore-scudo sprizzava scintille d'ingegno e di virtù;
ora, vedrete, il suo rumore sbanderà impauriti i giovani quasi colombi
alla pastura.
[1] Scudo che Numa finse caduto dal cielo dalla conservazione del
quale dipendevano i destini dello impero romano. L'Imperatore innanzi
di rompere la guerra si conduceva nel vestibolo nel tempio di Marte
dove scossi prima gli ancili (erano due, uno genuino, l'altro imitato per
tema lo involassero) toccava poi con la lancia il Dio gridando: Mars
vigila, Marte svegliati.
Mi si dice esserci noi discostati dalla servitù; questo può darsi: io
domando questo altro: di quanto ci siamo accostati alla libertà?--Tu
gitti, mi si risponde, sopra la carta la tua anima come lava ardente, e
veruno ti torce un capello; un dì per questa colpa quante carceri hai tu
visitato?--È vero, io sussurro sgomento, ma la carcere ci appariva
gioconda quasi stanza nuziale, perchè l'onda delle passioni popolesche
sommossa dalle nostre parole, ne percoteva i muri come mare in
tempesta: confidavamo che le sarebbero state seme di verace
libertà:--coraggio, gridavano l'uno all'altro, erpichiamoci anco su quel

dirupo, superato quel monte, addio nevi, addio dolori, e fatiche; la
Libertà ci aspetta tutta amorosa a mo' che apparisce la sua benedetta
culla, la Italia, a coloro che scendono giù dal Moncenisio. Affascinati
gli occhi dalla divina speranza, chi sentiva le piante lacere dal
tormentoso cammino, e chi, sentendole, avrebbe ardito lamentarsene?
Ora, valicato quel monte ci sorge davanti un'altro monte più aspro, e
rigido di ghiaccio; i cagnotti dell'antica tirannide, mutata veste,
tribolano come prima; della Libertà accadde quello che favoleggiano
avvenisse alla Giustizia la quale volando al cielo lasciò cascarsi la veste;
i Giudici di cotesti tempi lontani la presero, la tuffarono nella propria
coscienza e la fecero nera; d'allora in poi, gli uomini scambiarono la
toga per la giustizia, proprio a quel modo che eglino adesso per lunga
stagione, hanno barattato la Libertà con le insegne di lei. E da per tutto
così. Poteva durare vitale la Libertà ch'ebbe per compare il marchese
Lamartine? Poteva essere Libertà quella, covata dal Barone Ricasoli e
compagni, superbi odiatori del popolo più che del sangue viperino? A
Parigi, come altrove, e forse lì peggio che altrove, una mano di
aristocratici e di sofisti adoperarono il popolo secondo che costuma il
ladro della scala per salire alle finestre della reggia, e saccheggiarla in
nome della Libertà: piaggiatori palesi della moltitudine, quanto più in
segreto la odiavano, non guidatori, l'accesero a brame impossibili; poi
la saldarono a cannonate. Il popolo si accosciò sgomento e tu ora
(atroce a dirsi!) lo raccogli per combattere guerre, che nulla gli dice
essere patrie, nella guisa stessa che traduci in vincoli il malfattore
affinchè paghi la pena. Con la faccia china alla terra bagnata dal suo
sudore, il popolo mormora: ora e sempre, questa terra rappresenta per
me travaglio disperato, e sepolcro miserabile. Chi basso, chi alto, ma
fin qui tutti quelli che vedemmo succedersi, ombre grottesche di
lanterna magica sopra la parete avversa, ci hanno intonato agli
orecchi;--servi, paga, e ce ne avanza.--Nè ometto qualche altra cosa,
che è questa:--scegliti prima il padrone, e poi, quando ti chiameremo a
pagare il tuo tributo di sangue corri a gambe; se meni un solco lascialo
a mezzo come costumò il
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