avrebbe dunque sorpassati i suoi emuli? Noi ci permettiamo di dubitarne. Vi hanno degli ingegni frettolosi, ai quali la ponderazione e la lima nulla giovano. Basti ricordare che i pi�� illustri poeti estemporanei riuscirono il pi�� delle volte meno potenti di impeto e di ispirazione nei loro poemi meditati.
Le Memorie artistiche del Pacini che noi abbiamo sott'occhio ed alle quali informiamo la nostra breve biografia, non contengono episodi di molto rilievo. Pi�� che altro esse rivelano, nello stile, nella sovrabbondanza dei superlativi, e nella cortigianeria delle lodi, il carattere dell'uomo? Ma quando mai il Pacini ebbe tempo di esser uomo? Dai sedici fino ai settantaquattro anni, in ogni luogo ov'ebbe a trasferirsi, sotto ogni condizione di tempi, egli fu sempre e poi sempre maestro.
Vediamo di seguirlo rapidamente nelle tappe pi�� interessanti e pi�� gloriose della sua carriera artistica.
Le opere che pi�� illustrarono il Pacini in quella che suolsi chiamare la sua prima epoca, furono L'ultimo giorno di Pompei, _Gli Arabi nelle Gallie e la Niobe_.
Il celebre tenore Rubini va debitore del suo pi�� luminoso successo ad una cabaletta di quest'ultima opera; cabaletta che anche oggigiorno si ripete nei concerti da qualche artista privilegiato e che ebbe l'onore di parecchie trascrizioni felicissime.
Pacini possedeva in grado eminente il genio della trovata. Nessuno ha potuto sorpassarlo, pochissimi stargli a paro nella spontaneit��, nella eleganza, nella arditezza di quegli slanci lirici della melodia che si chiamarono le cabalette.
Oggi la cabaletta non �� pi��, come la era pochi anni addietro, una inevitabile perorazione delle arie e dei duetti. Dovremo noi dedurne che il gusto del pubblico sia mutato; che quanto ieri aveva potenza di elettrizzare le masse e di rapirle a immediati entusiasmi, verrebbe oggi riprovato quale una risorsa volgare dei talenti stazionari?--Non �� pi�� verosimile che la cabaletta sia caduta in disgrazia a causa dello spietato abuso che taluni ne hanno fatto, e della impotenza dei moderni compositori a creare quelle facili e originali melodie, dalle quali soltanto le cabalette traggono effetto? I palliativi qui non giovano; non �� il caso di abbagliare il pubblico coi fuochi di artifizio. La cabaletta �� il madrigale, l'anacreontica, l'epigramma dell'opera in musica--concetti qui si vogliono e non suoni--si esigono cuore e fantasia, non contrappunto; convien proprio, per fare qualche cosa di eletto e di affascinante, esser artisti di ispirazione, non vacui professori di armonia o di acrobatismo orchestrale.
Dateci qualche cosa che rassomigli nella vivace freschezza del pensiero, nell'impeto della spontaneit��, nella schiettezza della eleganza, alle famose cabalette del Pacini, del Donizetti, del Bellini e di tanti altri ispirati, e le masse pi�� intelligenti vi risponderanno coll'ammirazione entusiastica. Non sono trascorsi dieci anni dacch�� il pubblico domandava con grida frenetiche la replica della cabaletta Di quella pira, che non va posta fra le pi�� elette del Verdi; e della Norma, della Favorita, del _Ballo in maschera_ non vediamo anche oggigiorno accolte con preferenza, e applaudite, e bissate queste simpatiche concitazioni della melodia, che si vorrebbero da taluni critici eliminate dall'opera moderna.
Rovani direbbe: gli �� che una buona cabaletta vuol esser fatta con vino d'uva--e pur troppo la pi�� parte dei giovani maestri non chiudono nelle loro botti che vino Grimelli[1].
L'ultimo giorno di Pompei e Gli Arabi nelle Gallie vennero pi�� volte riprodotte nei principali teatri d'Italia e dell'estero. Con queste due opere, Pacini sostenne decorosamente il suo posto a fianco dei tanti illustri competitori coi quali aveva a lottare. �� per�� da notarsi che nella sua prima giovinezza, carattere vero da artista, lo spigliato e versatile maestro non pose mai, nel condurre a fine le sue opere, quell'impegno che la fortuna seconda e le esigenze di una fama prestamente conquistata parevano imporgli.
Nelle Memorie artistiche vediamo leggermente accennato a questo difetto, laddove il fecondo compositore ricorda un episodio avvenutogli a Milano. Doveva il Pacini scrivere per le massime scene della Scala un'opera nuova, la Giovanna d'Arco. ?Non nasconder�� (sono parole del maestro) che una avventura galante che mi aveva fatto perdere il cervello, mi distolse dal lavoro. La stagione teatrale volgeva al termine e a me mancava ancora un intiero atto. L'impresario, vedendo che io poco pensava a dar compimento all'impegno assunto, dopo avermi pi�� volte ammonito, espose alla Direzione degli spettacoli quanto accadeva; la quale, non perdendo tempo, invi�� rapporto al direttore di polizia signor conte Torresani, che, fattomi chiamare con tutta gentilezza, mi fece intendere che se entro il termine di otto giorni non avessi ultimato lo spartito, Santa Margherita mi aspettava![2]. Capii benissimo qual vento spirava, per cui pensai di non dare occasione di porre in pratica la garbatissima offerta?[3].
Il pubblico milanese, edotto di questi dettagli risguardanti la vita intima dell'autore, divenne implacabile pi�� dello stesso Torresani. La rappresentazione della Giovanna d'Arco fu per il gi�� acclamato autore degli Arabi, dell'Ultimo giorno di Pompei e del _Barone di Dolshein_, una vera disfatta.
Un giornale milanese, il Corriere
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