Le tre valli della Sicilia | Page 9

Gaetano Sangiorgio
nomi di Diego e Cletto scritti a caratteri d'oro nel sacro libro dei nostri martiri?
La battaglia ora terminata, i regii in fuga, gl'insorti padroni delle alture avevano inalberato lo stendardo tricolore sul campanile. Nondimeno Pardo e Frazitto combattevano ancora, e il loro era duello a morte; serrati l'un contro l'altro, avevano le armi e le vesti spezzate, e col solo troncone della spada si squarciavano le membra chiazzandosele di sangue in omaggio d'eguaglianza selvaggia. Gli occhi volevano schizzare dalle orbite, i denti battevano, il palpito de' due cuori era febbrile e violento, un tremito di convulso livore correva loro attraverso la persona: il delirio della tenzone riusciva al suo colmo, e per�� fu giocoforza finissero. Raccolte tutte le sue forze Pardo abbracci�� stretto l'avversario, l'atterr��, e cadendogli sopra gli tuff�� e rituff�� con gioia suprema l'avanzo del ferro nel petto. Frazitto non di�� un grido, non mosse palpebra, e mor�� brandendo tuttavia stretta in pugno la sciabola gocciante. Pardo a lenti passi s'allontan�� e appi�� della torre poco discosta cadde svenuto.
VIII.
Spuntava l'alba del 6 e gran folla di popolo s'accalcava sul piazzale d'Acquaviva. Adagiato su poca paglia lungo i gradini della chiesa, un uomo, tutto insanguinato, lottava colla morte, e nella sua agonia sorrideva. Inginocchiata a lui d'accanto, una giovane donna piangente e discinta gli tergeva con pannolino il sudore, e con affetto sublime lo baciava in fronte. Dolore acuto e profondo era quello della donna, e ne' suoi occhi velati e gonfi dalle lagrime ognun leggeva la storia d'un amore sviscerato e imperituro. Chini sul morente, due giovani montanari ne contemplavano con visibile angoscia le ferite fasciate e le labbra semiaperte; avrebber di cuore sacrificata parte della loro vigoria per salvar la vita dell'amico; non piangevano, ma i loro sospiri e l'agitazione de' loro sembianti attestavano il cupo e mal celato strazio dell'animo. La folla stessa singhiozzava; il prematuro e fatale morir di quell'uomo era dunque un affanno comune, tutti sentivano che in lui si spegneva un'esistenza preziosa, si recidevano speranze lungamente nutrite, affezioni cementate dai fatti.
--Addio, Iza mia... addio Enzo, Bino addio... ed a voi pure popolani... addio! muoio... ma muoio contento... la mia valle �� risorta... e l'isola respira! Abbiate sempre cara la libert��... sull'altare di essa deponete rancori ed odii... amatela, la patria... questa terra nostra... questa terra... Oh, sento mancarmi le ultime forze... addio amici... Iza, Iza mia, ricordati del tuo Pardo... amalo anche morto... e spesso parla di me alla vecchia Rosalia... ai villici di Sutera... Oh Sutera!... ieri fuggivo... esulavo... oggi eccomi ucciso... Addio Iza... Iza!... dammi l'ultimo bacio!--E colle braccia strinse al seno la desolata sposa, baciandola, ribaciandola, coll'impeto dell'abbandono estremo. Iza, vinta da tanto dolore, teneva fissi gli sguardi negli occhi di Pardo; e le suppliche d'Enzo e Bino perch�� di l�� si levasse, si togliesse a quel luttuoso spettacolo, a nulla valsero; nessun conforto, consolazione nessuna ascolt��... abbracciava ancora le spoglie del marito che le campane salutavano con mesta melodia il sole risorto.
IX.
Nove mesi dopo la tragedia d'Acquaviva Buscemo entrava commissario d'ordine e pace in Barletta. Riverito siccome personaggio potente, la citt�� fu parata a letizia per festeggiare l'eroe di Val Mazzara!
Cos�� era salutato nelle Puglie Buscemo Stampace.

PIERIO
STORIA DI VAL DI MONE.
?Tutto dolor!... una memoria segna Cui non cancella il sangue E per et�� non langue.? Mariannina Coffa Caruso.
I.
Era un mattino di maggio. Il cielo sereno come suole nella poetica plaga dello Stretto veniva tagliato nel suo lontano orizzonte dalle vette degli Apennini di Calabria, ed il sole gi�� sorto indorava con fantastica armonia le tremule acque del mar messinese. Il placido venticello della primavera scuoteva le fronde degli alberi ed agitava sullo stelo le erbe del campo ed i fiorellini del prato. Il pispissio dei passeri e delle rondini risuonava melodioso nella gran pace di natura, e lo squillo dei corni pastorali interrotto a tratti dai vaghi concerti delle campane dei villaggi seminati sulla pendice delle montagne e lungo la costiera cresceva incanto al sorriso della terra. Sembrava tornasse la vita alle piante ed all'onde, e gli uccelli salutassero col canto il ritorno dell'astro lumeggiante. La purezza dell'aria, lo spiccato del cielo, il verde delle vette, lo smeraldo dell'acque di Pace e Scilla: tutto ricordava la beata Sicilia, coll'atmosfera rapita alla torrida India.
A chi abbandona le casupole del Faro per ascendere il monte, s'apre a poca distanza dal mare una strada larga ma erta, sassosa e qui e l�� interrotta da torrentelli e gore. �� l'unica via che metta a Curcoraggio, povero paesuolo a sei miglia dalla costa e che veduto dal ponte delle navi par costrutto a precipizio poco in su di Messina. Di l�� tu vedi la patria di Maurolico, e la cittadella che oggi la difende: di l�� scorgi confusa nelle penombre delle falde Aspromonte e Reggio, la terra delle fate, col suo castello rossastro e
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