Le tre valli della Sicilia | Page 4

Gaetano Sangiorgio
alla lor terra ed ai confratelli felicità e gaudio!
--Oh Diego--dopo lungo silenzio disse Pardo all'amico--oh Diego, fra poco saremo alle mani cogli oppressori. Il tuo annuncio mi ha sollevato; ora spero!
--Non credo che Mussomeli sia ancor tenuto dai regi. Cletto stamane li ha cacciati.... e i gendarmi eran quaranta.
--E pensi abbian sloggiato? si saranno serrati nella torre.
--La quale è comandata....
--Da Orlando.... ma anche a lui non è dato scoprirsi ad una numerosa brigata di sgherri!
--Orlando è audace. Avrà resa la torre....
--A dispetto dei soldati?!.... a quest'ora sarebbe morto.
--E Cletto avrebbe potuto rimaner inerte spettatore dello strazio d'un fratello?....
--Cletto non sa che Orlando è dei nostri.
--Dunque?...--insiste Diego commosso--dunque?
--Ne sarà nato uno scontro e noi giungeremo opportuni a finirlo.
--E se il capitano è morto?
--Non ha Italia l'albo dei martiri?--e queste parole Pardo pronunziò in tuono solenne e in atto di convinzione profonda.
Ambedue tacquero, e per alcuni istanti non s'udì che il grave passo del drappello. Ma di lì a poco due fra i seguaci ruppero il monotono silenzio e parlarono assai rapidamente questo dialogo:
--Senti, Sandro, credi che la vittoria sarà nostra?
--Che dici, Maso, hai paura?
--No, non temo... abbiamo a capo Pardo, lui...
--Lui sì bravo, sì valente...
--Ardito e prode, ci condurrà a certo trionfo... non sai quanto valga il nostro Pardo... tre anni or sono... te ne ricordi?
--O che, Maso, pensi che non m'abbia memoria? L'amico Pasquale fu liberato...
--I gendarmi ebber la peggio...
--Lasciaron due morti... e si nascosero su quel di monte Puccio. Pardo tambussò per quattro...
--E quel che più monta inspirò coraggio a noi... e ci diresse bene.
--Animo, compagni... gridava lui... animo... salviamo l'amico!
--Pardo sarà sempre il nostro capo; anche quei di Villalba e Castronuovo eleggeranno lui!... tutti lo sanno bravo.
--Viva Pardo!
--Si, viva il nostro capo--disse forte Maso--Viva!
--Anche voi fidate in Pardo?--interruppe un terzo.
--Senza dubbio, Ascenso, nessuno in Sutera merita più di Pardo la nostra fiducia...
--Non in Sutera soltanto... anche a Cammarata... a Termini, nella valle... l'ho sentito lodare... e ne godevo come d'elogio fatto a me stesso.
--Nell'inverno passato a me mancò il grano e Pardo me lo donò.
--Ed a me rifornì il casale.
--Alla mia vecchia mamma... lo sapete Maso?... regalò coltri e lenzuola...
--Tutti nella valle lo amano e lo salutano.
--Con lui vinceremo.
--Dovremo a Pardo la libertà delle Madonie.
--Viva Pardo!
--Viva!--gridarono tutti. Viva! ripetè senz'altro Diego. Pardo (chi nol sapesse) non era facile agli improvvisi entusiasmi, per il che all'osanna de' suoi rispose:--Amici, grideremo viva sull'orme del tiranno... allora soltanto! oggi fa d'uopo ordine e coraggio.
--Coraggio! coraggio!
V.
Dalle vette eccelse di monte Puccio sorgeva il sole colla sua corona di fuoco a diffondere la luce dorata de' raggi sui boschi e sui vigneti. Irradiati da quel sublime splendore i ruscelli brillavano serpeggianti fra i prati verde-biancastri smaltati dall'armonico velo dei fiorellini azzurri e gialli, e gli uccelletti svegliati dal leggier fruscio delle foglie agitate dalla brezza del mattino volavano liberi e garruli nell'aria tepida per poi posarsi festanti sulle cime degli alberi più alti. Era la natura che, riposata nella pace della notte, si risvegliava e ritornava per l'influsso arcano del disco fondatore alla vita del dì; erano i figliuoli della terra che col cessar delle tenebre cessavano dal sonno, e uniti in poetica concordia innalzavano il saluto degli effluvi e dei canti. Era proprio la primavera, col rigoglio della gioventù, colla bellezza del cielo e del creato, col balsamo degli zefiri delle montagne; e là fra i reconditi Apennini della ferace Sicilia il mattino d'aprile rinnova davvero i colori alle piante, il miele alle acque, le forze all'uomo!
Sulla piazza di Cammarata bivaccava un battaglione di soldati che Salzano avea spedito per tener tranquilla la provincia. Levate le tende di buon'ora, la truppa girandolava intorno ai fasci delle armi, e gli uffiziali ciarlavano raccolti in crocchio nell'atrio del palazzo del Comune.
D'architettura severa e massiccia, vasto, annerito dall'età e dalle pioggie, quel palazzo metteva in animo un tal quale ribrezzo che incuteva e spauriva; avanzo grandioso dei tempi feudali ricordava le gesta splendide insieme ed inique dei duchi e dei re angioini ed aragonesi; triste monumento di anni troppo celebrati, illustri per sciagure ed infamie. Quel palazzo rammentava l'esosa boria dei forti e i vigliacchi fremiti degli oppressi; quelle arcate maestose e cupe, quelle volte polverose, quelle lunghe pareti sulle quali erano dipinti i fasti dei signori, ritornavano al pensiero la servitù della plebe avvilita, l'audacia dei protetti, la millanteria dei bravazzi, l'ignoranza superba dei fortunati, la dispotica inviolabilità dei frati e dei conventi, la partigiana indipendenza del clero.
In una sala a pian terreno, che dava sul giardino, passeggiava a lunghi passi il maggiore, e ritta presso la porta del cortile stava la guardia. Era il maggiore un tal Frazitto di Marsala, uno dei pochi isolani che tenessero alti posti nell'esercito del re di Napoli. Più birro che soldato, il Frazitto ubbidiva ciecamente ai comandi dei capi, e servo dei gigli aveva rinnegata la bandiera
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