tamburo. Astrologo, me vobis commendo.
ALBUMAZAR. Abbiate pazienza: cos�� comanda quel pianeta di cui voi s��te preda.
PANDOLFO. Misericordia, piet�� di me!
ALBUMAZAR. Sappi che le stelle e i pianeti sempre guerreggiano fra loro e fanno amicizie e inimicizie, e se stessero in pace per un momento, il mondo ruinarebbe. E come noi potremo opporci al cielo che non disponga delle cose mondane?
PANDOLFO. Voi con la vostra sapienza....
ALBUMAZAR. Bene dixisti, ch�� il sapientissimo Tolomeo egiziano disse: ?Sapiens dominabitur astris?.--Gramigna, calami gi�� quel cappello e talari di Mercurio, fatti sotto ponto di Mercurio ascendente nel suo segno.
PANDOLFO. Io non mi partir�� tutto oggi da' vostri piedi.
ALBUMAZAR. Eccolo, ponetelo in testa, e tenete in mano questa imagine marziale, impressa quando egli felicissimo ascendeva su l'orizonte nel segno d'Ariete di marzo, di martedi, all'ora prima di Marte, ch�� vi far�� libero d'ogni male.
PANDOLFO. Accetto volentieri la grazia che mi fate.
ALBUMAZAR. Ors��, andate, abbiate l'uomo che volete transformare e tornate a me, ch�� vi render�� pago d'ogni vostro desio.
PANDOLFO. Cos�� facciamo.
ALBUMAZAR. Io intanto col mio stromento iscioterico per via d'azimut e almicantarat cercher�� felici ponti per voi.
PANDOLFO. Restate in pace!
ALBUMAZAR. Andate: che le stelle vi siano propizie e vi riempiano la casa d'influssi benigni, propizi e fortunati!
SCENA VI.
PANDOLFO, CRICCA.
PANDOLFO. Cricca, in somma l'astrologia �� una grande arte: mira come subito in vedermi m'indovin�� quanto mi stava nel cuore, e come intese quanto dicevi poco innanzi e lo burlavi e non gli volevi credere. Ecco ne hai patito la penitenza, e tristo te se non lo pregavo per la tua vita.
CRICCA. Veramente non pensava che fosse astrologo da vero: lo stimava qualche razza di furfante, come se ne trovano tanti che si vantano d'esser astrologhi e ingannano la vil plebe.
PANDOLFO. Beato te che sei uscito di periglio, ch�� a me par che d'ora in ora mi cada il mondo in testa! Per tutto oggi non far�� questione. Se alcuno mi dir��:--Sei un furfante,--dir��:--Son un furfante e mezzo.--Che importa quella parola? bisogna vivere e fare li fatti suoi.
CRICCA. Andiancene presto a casa.
PANDOLFO. Vorrei aver un campanil in testa per stare pi�� sicuro. Oh oh, son morto!
CRICCA. O povero padrone, per parecchi giorni non avrai pedochi in testa, ch�� tutti saranno pesti o fuggiti per la paura!
PANDOLFO. Dubito che il mio cervello non sia balzato un miglio fuor della testa.
CRICCA. Ancorch�� paia cos�� a te, spero che non sia nulla se il medesimo intervenne a me.
PANDOLFO. Oim��! che non mi assicuro d'alzarmi.
CRICCA. Alzatevi, ch�� vi ha difeso la celata fatta a ponti di stelle.
PANDOLFO. Parmi che non abbia male, o salamonissimo arcidottore. Li suoi pronostichi mi hanno tanto inanimito che m'assicuro d'ogni cosa che mi promette.
CRICCA. Andiamo.
ATTO II
SCENA I.
VIGNAROLO, ARMELLINA serva.
VIGNAROLO. (Sia maladetto Amore e quella puttana che l'ha cacato! Prima non conosceva altro pensiero che star alla villa; e doppo che mi sono innamorato bestialmente, mi par che in villa sia sempre inverno, e la primavera fuggirsi alla citt�� per starsi con la mia Armellina. Son risoluto narrarle l'amor mio e richiederla, ch�� alle donne bisogna dir qualche parola, poi lasciar fare al diavolo che sempre lavora. Ma eccola su l'uscio: vorrei parlarle, ma mi vien l'animo meno: vo' far buon core e salutarla). Vi saluto centomila migliaia di volte, Vostra Signoria illustrissima, Vostra Altezza, Vostra Maest��.
ARMELLINA. Oh, quanti titoli! vignarolo.
VIGNAROLO. Non s��te voi la mia signora, la mia regina e la mia imperadora?
ARMELLINA. Che cosa mi porti, vignarolo?
VIGNAROLO. Rispondi al saluto prima, poi mi chiedi che porto.
ARMELLINA. Rispondi tu prima a me: se dici che son la tua imperadora, ti posso comandare.
VIGNAROLO. Porto il presente, mezzo al patrone e mezzo a te; e se ti piace tutto, piglialo tutto.
ARMELLINA. Mi raccomando.
VIGNAROLO. Fermati un poco, ch�� son venuto a posta dalla villa per vederti...
ARMELLINA. E m�� non m'hai veduta?
VIGNAROLO. ... e parlarti ancora.
ARMELLINA. E m�� non m'hai parlato?
VIGNAROLO. Lasciami parlare.
ARMELLINA. E m�� che fai?
VIGNAROLO. Ragiono pur, ma vorrei....
ARMELLINA. Che vorresti?
VIGNAROLO. S�� s��, sai che vorrei? che mi volessi bene.
ARMELLINA. Io per me non ti vo' male.
VIGNAROLO. So ben che non mi vuoi male: pur non mi vuoi bene.
ARMELLINA. Che vorresti dunque che facessi?
VIGNAROLO. T?rmi per marito.
ARMELLINA. Son poverella, non ho dote da darti.
VIGNAROLO. Mi basta la grandezza de' tuoi costumi e della tua natura.
ARMELLINA. Non vo' che alcuno mi pigli: vuo' stare come sto.
VIGNAROLO. Se vuoi stare come stai, diventarai salvatica.
ARMELLINA. Come?
VIGNAROLO. La vite come sta sola cade in terra e s'insalvatichisce: la donna �� la vite, l'uomo �� il palo; se non ha il palo dove s'appoggia, sta male.
ARMELLINA. Impalato possi esser tu da' turchi!
VIGNAROLO. Ah, traditora, perch�� mi maledici?
ARMELLINA. Burlo cos�� con te.
VIGNAROLO. Ed io me lo prendo da dovero. Io non amo al mondo altri che te. Tutto il giorno piango e mi tormento, e per chi, ah? per te, lupa, cagna che ti mangi il mio cuore; e tanto potrei star senza amarti quanto far
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